Sulla tendenza a psichiatrizzare ogni forma di umana difficoltà
“Dal convincimento profondo dell’utilità delle conoscenze generate dal nostro ambiente di lavoro, scaturisce per noi la necessità di tenere alto il livello del dibattito culturale e scientifico sulla materia “psi”.
Abbiamo bisogno di discutere, ad esempio, sulla tendenza a psichiatrizzare, vestendola di malattia e delegandola ai tecnici della salute, ogni forma di umana difficoltà: dal lutto al conflitto, dai problemi di relazione tra le persone alla cura dei comportamenti dei bambini.
E in atto una sorta di deriva tecnicistica, che scinde emozioni, sentimenti e stati mentali dai fatti e dalle condizioni che li generano e dalle storie di vita in cui acquistano senso; una deriva che espropria gli individui della competenza di sé, spingendoli verso la dipendenza da chi sa (il tecnico di un dolore umano privato del suo significato), e da qualcosa (una sostanza, o altre simili meccaniche cose) che dovrebbe magicamente sciogliere ogni nodo dell’esistenza. Negandolo. O negandone il senso con costi individuali e sociali elevatissimi e con mortificazione di tutti, a cominciare da terapeuti e pazienti cui è sottratta parte della loro umanità”.
(Cancrini[1] – Vinci, Conversazioni sulla psicoterapia – Alpe)
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Commento
Bisogna ammetterlo: avanza di anno in anno la tendenza a psichiatrizzare e psicologizzare in modo sempre più indiscriminato il disagio, il malessere, la relazione difficile, la difficoltà scolastica, l’adolescenza problematica, le relazioni familiari. E contemporaneamente si assiste all’aumento quasi esponenziale di “tecnici del dolore umano” presenti e diffusi nel sociale, tanto da chiederci in termini economici se è la domanda (il disagio diffuso) a creare l’offerta (psicologi e psichiatri) o l’offerta presente sul mercato che crea la domanda.
A tal proposito, il filosofo Pier Aldo Rovatti nota:
[…] Queste pratiche di assistenza psicologica proliferano nel mondo angloamericano e a partire da esse si può disegnare uno scenario molto attendibile dell’ideologia contemporanea basata sulla vulnerabilità dell’individuo o sul suo “deficit emotivo”. Vedremo tra un momento i contorni di questo scenario e le sue implicazioni, direi proprio filosofiche, che presuppongono l’idea di un Homo psychologicus malato, cioè l’idea di un soggetto a tal punto friabile da non essere più in grado, per la sua strutturale condizione, di governare se stesso.
[…] Tuttavia il cosiddetto consulente, se avrà guadagnato una qualche consapevolezza critica della cultura terapeutica in cui oggi siamo, non dovrebbe fornirgli alcuna consolazione. Anzi, si troverà nella situazione di smontare o decostruire pazientemente le sue attese, in vista – forse – di un nuovo scenario in cui parole come “rischio” e “spaesamento” dovrebbero funzionare, piuttosto che come sintomi di un disagio, cioè di qualcosa da curare, come aperture di esperienza, cioè – paradossalmente – come la cura stessa o un suo primo affacciarsi.
(Pier Aldo Rovati La Filosofia Può curare?- Cortina)
Perciò il mercato “psico” è inondato di “specialisti”, di nuove figure che offrono corsi, insegnamenti, specializzazioni, apprendimenti di tecniche buone per tutti gli usi, tanto che gli psicologi propagandano di saper fare di tutto.
Io umilmente nel primo colloquio con un paziente, alla sua domanda se posso aiutarlo, confesso che non lo so, perché non lo conosco, non conosco la sua storia, la sua identità, e perchè soprattutto ogni persona che soffre è unica, non assimilabile ad altre anche se con lo stesso apparente sintomo. Lo rassicuro solo che mi metterò al suo fianco per cercare di capirlo, facendo assieme una ricerca. Sì, perché la psicoterapia è fondamentalmente una ricerca e “arte”, che non si improvvisa, e ne sono sempre più convinto.
Quando nel ’92 scelsi di cambiare mestiere da insegnante a psicoterapeuta a Milano alla scuola di Mara Selvini Palazzoli, pioniera in Italia della Psicoterapia Sistemica Familiare alla metà degli anni ’70, rimasi colpito scoprire che quello era solo il primo anno che si attivava il corso di specializzazione di psicoterapia familiare, mentre già da alcuni anni erano sorte diverse scuole di specializzazioni. Mi chiesi il perché il ritardo, e la risposta fu che Mara Selvini non voleva fare scuola, ma continuare a fare ricerca come ha sempre fatto da quando aveva cominciato a fare psicoterapia. Da lei e dai suoi successori imparai che fare psicoterapia è fare ricerca sul perché del sintomo, e ricerca richiede sacrificio, impegno, passione e onestà etica.
Ma quando mi accorgo che il disagio non è sintomo, mi alleo con le parti positive della persona per accelerare lo svincolo e l’autonomia.
Tanto ci sarebbe ancora da dire, ma il mio tempo di riflessione è scaduto e forse seguirà una prossima puntata.
[1] Luigi Cancrini, psichiatra e psicoterapeuta di formazione psicoanalitica e sistemica, ha fondato negli anni Settanta il Centro Studi di Terapia Familiare e Relazionale, già ordinario di Clinica Psichiatrica presso l’Istituto di Psichiatria dell’Università “La Sapienza” di Roma