Trascrivo il testo della parabola di Luca (15, 11-32) suddividendolo in sei scene narrative per facilitare il commento e la lettura critica.
Prima scena (11-13)
“Un uomo aveva due figli. Il più giovane disse al padre: “Padre, dammi la parte dell’eredità che mi spetta.” E il padre divise tra loro le sostanze. Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano”.
Seconda scena (14-20)
Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto. Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava.
Terza scena (20-24)
Allora rientrò in se stesso e disse: “Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni.” Partì e si incamminò verso suo padre.
Quarta scena (25
Quando era ancora lontano, il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: Padre: “Ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio.” Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l’anello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
Quinta scena (25-28)
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò un servo e gli domandò che cosa fosse tutto ciò. Il servo gli rispose: “E’ tornato tuo fratello e il padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si arrabbiò, e non voleva entrare.
Sesta scena (28-32)
Il padre allora uscì a pregarlo. Ma lui rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “O Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato».
-
-
-
-
-
-
Prima di entrare nel cuore della parabola, per leggerla criticamente nella peculiarità del sistema psicologico relazionale che traspare nel testo oltre il contenuto narrativo, mi pare opportuno anticipare alcuni interventi generali, diversi per intenti, ma tutti utili per definire una cornice di inquadramento della parabola
-
-
-
-
-
Commento
Paolo Farinella:
Un amico “sazio di giorni” mi confessò di avere “incocciato” dall’età di dodici anni la parabola del “figliol prodigo” e di non essersene più liberato. Ancora oggi, dopo settanta anni, continua a fare i conti con essa. Una vita dedicata ad una parabola! Alle persone superficiali che consumano e corrodono la vita apparente con una velocità che finisce per immobilizzare, potrebbe sembrare una esagerazione una forma maniacale di isteria religiosa. Al contrario a me ha richiamato al cuore l’immagine di un rabbino che dedica l’esistenza allo studio della Toràh, ponendosi alla ricerca della chiave interpretativa di essa nella sua complessità e unità.
[…] Essa infatti narra di “un uomo (che) aveva due figli” e già con questa informazione, posta sullo sfondo narrativo, Luca scaraventa il lettore nel cuore della pienezza di umanità senza particolarismi:” un uomo” fu ieri, è oggi e sarà anche domani. “Un uomo” che potrebbe essere ognuno di noi.
(Paolo Farinella – Il padre che fu madre Gabrielli Editore, Introduzione)
Massimo Recalcati:
Quale è la forza della parabola evangelica del figliol prodigo? Essa ci porta nel vivo del complesso rapporto tra padri e figli. La sua straordinaria attualità è evidente sin dalla sua apertura: il figlio minore reclama il diritto a ricevere subito la parte dell’eredità che gli spetta schierandosi apertamente contro la Legge ebraica che imponeva che l’eredità potesse essere divisa solo dopo la morte del padre. Egli sfida sfacciatamente il tabù del padre; non ha timore, non retrocede. La sua domanda incarna una esigenza che non può essere differita e che non conosce mediazioni. La sua forma è imperativa come riporta l’evangelista Luca. Il figlio si rivolge al padre dicendogli: «Dammi!». Il padre viene inchiodato a commettere un atto contro la Legge: dare al figlio minore la sua parte di eredità pur essendo ancora in vita. Non è questa una cifra del nostro tempo, come ricorda in un intenso commento di questa parabola Paolo Farinella in Il padre che fu madre (Gabrielli editori, 2010)? I nostri figli non sono forse animati da domande imperative, dalla spinta a realizzare il prima possibile un godimento che non tollera più alcun differimento? Non è questo forse uno scoglio sul quale sembra infrangersi il discorso educativo contemporaneo? L’esclamazione «Dammi!» misconosce il debito ribaltandolo in un credito infinito. Essere figli non implica l’iscrizione della vita nella catena delle generazioni che ci hanno preceduto, non implica alcun debito simbolico ma solo un credito sconfinato. Il figlio minore non assume nessuna responsabilità se non quella della sua domanda impaziente. E, tuttavia, è proprio questo figlio irresponsabile che infrange la Legge, che abbandona la casa del padre mettendosi in moto verso un paese lontano, il solo capace di compiere un atto fuori dalla tutela garantita del padre. […]
Appunti di pedagogia divina:
È’ diffusa e comune usanza definire questo brano «la parabola del figlio prodigo», sebbene quasi tutti oggi sappiano che non spetta al «figlio prodigo» il ruolo di personaggio principale né dal punto di vista letterario né dal punto di vista teologico. Seguendo un lodevole esempio che già trova non pochi sostenitori, si suggerisce caldamente di abbandonare questa fuorviante denominazione per accoglierne un’altra, per esempio «la parabola del Padre buono», che restituisce alla figura del padre la sua centralità letteraria e teologica. Non si tratta di una inutile o pedante mania perfezionistica, bensì di un aiuto per indicare fin dal titolo il vero protagonista ed orientare in tal modo verso la corretta interpretazione della parabola.
Se qualcuno è rimasto affezionato all’aggettivo “prodigo” può mantenerlo, attribuendolo però al Padre, cosicché diventa la parabola del Padre prodigo. (www.ispcapp.org/Relazioni/docs/Pedagogia_Divina-Parabola_Padre_Prodigo.pdf)