Massimo Ammaniti
“Con il passare degli anni, le nebbie giovanili a poco a poco si diradano e lo scenario della nostra vita si fa ogni giorno più chiaro e definito. È allora che può capitare di chiedersi: «Qual è stato il desiderio che ha orientato la mia esistenza?».
La risposta non è semplice né immediata. Spesso i desideri che hanno mosso le nostre azioni avevano mete così diverse e discordanti da essersi frammentati in tanti piccoli rivoli che non si sono più ricongiunti. A volte, al contrario, emerge la consapevolezza che la nostra vita può essere letta alla luce di un unico desiderio che ha informato tutte le nostre scelte, le nostre aspirazioni e i nostri comportamenti.
“Il desiderio che ha occupato la mia esistenza, non per narcisismo ma per amore di conoscenza, è il mistero di me stesso, il mistero del mio corpo, il mistero della mia anima, il mistero di quello che io sono … Ho impiegato la mia vita a cercare di conoscermi, ho parlato di me stesso parlando d’altro, ho parlato d’altro parlando di me stesso, perché mi sembrava che questa fosse la via principale per arrivare a qualche conoscenza interessante. E l’ho fatto non soltanto nella vita, continuando a ruminare pensieri, ma anche nella mia opera”.
Me lo confessa lo scrittore napoletano Raffaele La Capria con l’espressione tranquilla di chi ha meditato più volte su questo interrogativo ….
[…] Nell’ “Introduzione a me stesso”, La Capria ha rivelato di aver voluto raccontare «di me come ero, di un giovane borghese di buona famiglia … con le frequentazioni, le idee, i pensieri, la cultura, gli amici che avevo io».
E questa esplorazione di sé ha proseguito nei romanzi e negli scritti successivi per soddisfare quel desiderio inesaudibile che ha radici antichissime, come testimonia l’iscrizione che si poteva leggere sul frontone del Tempio di Apollo a Delfi, nell’antica Grecia: «Conosci te stesso». Desiderio che spinge a interrogarsi, a guardare dentro di sé e a confrontarsi con il desiderio degli altri, ma che è destinato a rimanere inappagato perché, come scrive lo psicoanalista francese Jacques Lacan, l’Io è inconoscibile in quanto il desiderio è inconscio.
«Il mio non è un io soltanto autobiografico, è un io conoscitivo … l’altro è per me un elemento fondamentale per giudicare la maturità di una persona. Si è maturi soltanto quando si conosce l’altro»
scrive La Capria, chiarendo il senso di questo lavoro di autoesplorazione. Perché, anche quando l’oggetto del desiderio personale è la conoscenza di se stessi, nella propria vita è costantemente presente l’altro, sia esso il compagno o la compagna con cui condividere le proprie esperienze, qualcuno che si vuole dominare o dal quale si vuole essere dominati, o ancora, semplicemente, un complice nella lotta contro un altro.
[…] .. (esperienza che facciamo) quando la pausa della mente tende a prolungarsi ed è quindi più probabile che gli altri facciano la loro comparsa nel nostro mondo interiore. Si potrebbe pensare che, come scrive Lieberman, «i nostri cervelli siano costruiti per mettere in pratica pensieri attorno al mondo sociale e al posto che noi ricopriamo in esso».
Massimo Ammaniti, La curiosità non invecchia Mondadori
*** *** ***
Commento
«Qual è stato il desiderio che ha orientato la mia esistenza?», chiede Massimo Ammaniti ad ognuno di noi, e specialmente a quelli che riescono a vedere la vita oltre le “nebbie giovanili”.
Lo confesso, mi sono soffermato a capire il senso delle nebbie giovanili, non per svalutare l’età giovanile, che ci appartiene, quale sia stata con le sue ombre e le sue luci, ma perché l’essere giovani è una spinta primitiva a guardare in avanti incessantemente, senza guardarsi cosa succede o è successo dietro le spalle. Perciò quello che si vede e conosciamo è sempre una verità parziale, in parte oscurata. Ci conosciamo sempre parzialmente e specialmente perché non sappiamo cosa ci portiamo nello zaino invisibile trasmesso dai nostri genitori e progenitori e che fa parte della nostra personalità.
Arriva il tempo in cui si comincia a fare i conti, specialmente quelli che non tornano, in cui bisogna diradare le nebbie e trovare una linea di continuità nella nostra vita fra presente e passato.
A me è capitato quando mi è venuta la curiosità di conoscere la storia dei miei nonni emigrati in America, che ha segnato le storie successive di mia madre e di mio padre, che non hanno conosciuto i loro padri, morti l’uno, quello paterno, in guerra nel 1916 a 29 anni, appena rientrato in Italia richiamato obbligatoriamente per il servizio militare; l’altro quello materno, emigrato anche lui, e morto in America, lasciando mia madre orfana di padre, e avendolo potuto vedere da bambina spaventata solo poche volte, e con una morte lontana avvolta nell’oscurità.
Allora mi chiedo: queste vicissitudini quanto possono aver inciso nella formazione della personalità di mia madre e mio padre e successivamente su di me? Ovviamente di norma nessuno si pone queste domande e questo bisogno di conoscere la sua storia, ma quando si inizia una psicoterapia è fondamentale conoscere la storia familiare e poter capire perché e come si è sviluppato un comportamento sintomatico che in modo criptico contiene la verità.
Così ho cominciato a vedere, capire e scrivere la mia storia, che inizia come storia di emigrati e di sofferenze e di bisogni, e rivederla in tempi diversi e situazioni diverse nei volti e nelle tragedie dei nuovi emigranti. Quello che accomuna i miei nonni e gli emigranti di ieri e quelli di oggi è il bisogno dell’altro, dell’aiuto dell’altro che può: la fratellanza. Per questo quando lo sconosciuto bussa alla mia porta, non so dire di no, e quando non rispondo, mi sento in colpa e con la coscienza che mi rimprovera. E così, scoprire che mi sento solidale nella mia veste di psicoterapeuta con chi soffre, senza mai rifiutare un incontro gratuito con l’altro che chiede aiuto.
Questa è la passione e il desiderio che mi riconosco e che mi guida ancora oggi nell’essere me stesso.