A domanda rispondo. Scambio epistolare con una paziente – Giuseppe Basile

A domanda rispondo

Scambio epistolare con una paziente

Da alcuni anni nelle mie terapie relazionali familiari consiglio ai miei pazienti fra una seduta e l’altra di scrivere tutto quanto si è mosso in seduta, emozioni, sentimenti, pensieri, ricordi, aprendo così una corrispondenza epistolare. Trovo utile ai fini terapeutici questo scambio per alcune buone ragioni. Prima perché la parola scritta è una parola pensata, meditata, aiuta a vedere con più chiarezza il groviglio di vissuti che non trovano risposte. La seconda perché è il prolungamento della terapia, in modo che il tempo dilatato fra una seduta e quella successiva non sia un tempo vuoto. Ripeto sempre, la terapia continua fuori della stanza terapeutica. Infine perché segna e attiva l’alleanza terapeutica fra terapeuta e paziente, in cui entrambi hanno un ruolo attivo in terapia. E si sa ormai che quando si riesce a costruire una buona alleanza fra terapeuta e paziente le possibilità di un esito positivo della terapia aumentano.

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Una signora in terapia di coppia in uno scambio epistolare mi chiede:

Dora:     “Secondo Lei l’uomo e la donna si possono amare per tutta la vita? Oppure è ciò che ci detta la nostra società con la Morale?

Terapeuta:     A domanda rispondo. Ci sono amori che durano tutta la vita e amori che durano il tempo di una stella cadente. Il tempo è regolato dalla presenza dell’amore, dal valore che esso ha nella vita dei due, dal significato che si dà alla parola Amore, dai bisogni sani e malsani reciproci che attraggono, da ciò che uno cerca nell’altro, dalle proiezioni che l’uno fa sull’altro senza saperlo, e da tanto altro ancora che non può essere generalizzato.

Semplificando molto il discorso si può dire che fra le tante teorie sull’amore, quella che mi convince di più è la teoria dell’attaccamento. L’attaccamento è un bisogno innato, per cui il bambino si attacca alla madre appena nato, non solo per il bisogno di nutrirsi, ma soprattutto per il bisogno di sentirsi protetto, rassicurato, bisogno di appoggiarsi quando si trova in pericolo o in difficoltà, il bisogno di avere una “base sicura”. Questo bisogno primordiale ci accompagna per tutta la vita, “dalla culla alla tomba” come diceva il fondatore John Bowlby. Anche la relazione di coppia è costruita sul bisogno di attaccamento che spinge due persone a cercarsi uno da cui sentirsi protetto, rassicurato e amato. Il bisogno di sentirsi amati, accettati fonda la relazione d’amore.

Tenga conto poi che la vita, anche senza che ci si accorga, cambia le carte in gioco, scompiglia il gioco relazionale sul chi vince e chi perde, al punto che se non si sente più amore è meglio, come dice lei “sentirsi da soli, essendo veramente soli, che sentirsi soli essendo in coppia”. La tolleranza al dolore a lungo andare, se supera certi limiti, e ognuno ha il suo limite, produce patologia non solo nell’individuo, ma può estendersi anche negli altri componenti il sistema familiare in cui si vive. Perciò non ho dubbi che è meglio la solitudine che la patologia.

In parte è la mia esperienza e fare scelte responsabili spetta alla persona, facendo bene i conti con il suo passato e con il suo presente, e ogni scelta è sempre personale, unica. Quindi non ci sono maestri che possono insegnare che cosa fare[1], anche se oggi il nostro tempo è pieno di maestri prodighi a buon mercato nel dar consigli e ricette per ogni problema.

Al momento concordo con lei “che forse è arrivato il momento di stare sola e conoscere meglio me stessa in solitudine”.

Conoscere meglio se stessi è il problema e il bisogno principale per poter fare scelte responsabili. Il rischio di fare scelte illusorie è sempre presente e così ritrovarsi prima o poi nella stessa insoddisfazione e nella stessa delusione. Se non si è nella condizione di farcela da soli ad uscire dall’insoddisfazione, dalla delusione e dalla sofferenza che tutto ciò comporta è saggia cosa cercare l’aiuto psicoterapeutico, che è quel lavoro narrativo e conoscitivo di se stessi. È seguire l’antico ammonimento scritto a grandi caratteri sul frontone del tempio greco di Apollo a Delfi, luogo dove i pellegrini chiedevano al dio risposte ai loro problemi: “CONOSCI TE STESSO”. Quindi bisogno di ascoltare se stessi, in se stessi trovare le risposte. Consiglio abbastanza semplice, quasi banale, se non fosse che ognuno di noi è un groviglio di sentimenti, bisogni, desideri, nodi irrisolti, ferite, spesso sconosciuti, in cui non è facile districarsi e fare la scelta più giusta. E qui viene in aiuto l’insegnamento di Socrate padre della filosofia antica greca che ha usato l’arte maieutica nel suo insegnamento, l’arte di sua madre ostetrica che aiutava a far venire fuori, alla vita, il bambino. La verità è dentro, non fuori di noi.

È questo quello che facciamo noi psicoterapeuti, e quello che cerchiamo di fare con voi. 

Dora.     ” Sono certa che mi è mancato tanto l’amore ed ho sofferto. Franco mi voleva sempre diversa da come sono, mentre io mi piaccio così e mi fa arrabbiare il fatto che mi si voglia diversa.

Terapeuta:     “Io voglio essere liberamente Dora e non sopporto di dover essere cambiata”, afferma e reclama questo suo diritto.

Amore è sempre una scelta libera, non accetta imposizioni, specialmente se è una pretesa di cambiamento di sé che viene dall’altro. Se cambiamento deve esserci, nella relazione di coppia, può esserci solo un cambiamento reciproco nella diversità e non nella fusione, in cui si annullano le diversità e le identità.

Ma faccio fatica a pensare che Franco possa aver fatto una richiesta esplicita in tal senso, e se l’ha fatta, bisognerebbe capire quali motivazioni, quali bisogni, quali mancanze lo spingono a farla e questo lo si può fare in una seduta congiunta.

Certo le richieste implicite di cambiamento, sottaciute, come quasi tutte le richieste che riguardano la relazione, sono silenziose, non sono urlate, sono fatte intuire all’altro, suggeriscono, e nello stesso tempo esprimono un disagio relazionale. Tutti segni che esprimono la delusione della e nella relazione e il bisogno di cambiamento, di cambiare il passo nel percorso a due. Non si può ignorare il disagio, la delusione dell’altro, altrimenti il disagio cresce, aumenta, sfocia nella conflittualità aperta. Se la relazione di coppia si adagia, accetta come normale questo modo di non comunicare o magari di comunicare sulla banale quotidianità, ma mai sulla relazione, cioè metacomunicare, si corre il rischio della rottura. È in fondo quello che si fa nelle sedute di psicoterapia, si metacomunica sulla relazione, anche se parliamo di fatti e avvenimenti, sulla risonanza emotiva e relazionale che questi fatti suscitano.

Dora:     “Ho paura del cambiamento ma mi incuriosisce come opportunità per essere felice domani”.

Terapeuta:     Capisco la sua paura, se cambiamento vuol dire imboccare un tunnel oscuro e di cui non si sa quanto lungo sia e cosa si possa trovare in fondo. Il cambiamento non è mai radicale in una relazione, procede per accomodamenti funzionali al benessere della relazione e non solo dell’individuo. E a dettare i tempi, i modi, i contenuti è sempre l’Amore, che richiede cambiamenti reciproci e non unilaterali. I cambiamenti d’altronde sono continui, noi non siamo quelli di ieri e domani non saremo quelli di oggi. Non siamo immutabili, guai se fosse così, non ci sarebbe storia in noi, ma solo blocco Tanto più in una relazione che sempre in divenire. Ci consola però, fa meno paura sapere di essere ancora in due a fare il cammino, anche se non si conosce lo sbocco.

“Mi incuriosisce come opportunità”: questa è la disposizione mentale feconda. La curiosità è maestra della ricerca della verità, se non altro per non colpevolizzarsi dopo per quello che non si è tentato di fare prima. E tanto più se in gioco ci sono dei bambini. Il desiderio di incuriosirsi esprime la voglia di rimettersi in gioco, ma non nello stesso gioco di prima, ma in un altro gioco partendo dalla consapevolezza della delusione, dai contenuti specifici della delusione, in cui si è caduti dall’alto della illusione.

Terapeuta:     E mi incuriosisce il perché ha aspettato tanti anni prima di pretendere a sua volta chiarezza, definizione del chi siamo e cosa vogliamo per il bene reciproco e dei figli, a meno che non si voglia dire che causa del fallimento di cui parla sia propria la venuta dei figli.

Ma questo, lo scarto io. Anche se i figli possono essere un fattore concomitante.

Dora:     Credo di aver aspettato tanto a chiedere chiarezza proprio per la Paura dell’imminente fallimento e della temuta Solitudine. Probabilmente facendo chiarezza sarebbe crollato il mio Sogno di Coppia.

 Terapeuta:     Capisco questa sua paura, è la paura della solitudine, la paura di chi non ha un braccio a cui appoggiarsi. In fondo è questo che cerchiamo in una relazione: avere un punto di appoggio, avere una “base sicura” dove rifugiarsi quando attorno a noi c’è tempesta e sofferenza, comportamento innato che hanno anche gli animali. Perché noi non bastiamo a noi stessi, non siamo autosufficienti, siamo sempre bisognosi dell’altro, nonostante la predica sociale di oggi sull’esaltazione dell’individuo e sul bastare a se stessi. Io l’ho imparato da mio padre che alla vigilia dei suoi novant’anni in silenzio cercava il braccio di mia mamma.

Dora:     Poi i miei bisogni si sono fatti sentire più avanti dopo essere stati repressi per troppo tempo.

Terapeuta:     Naturale che tutto ciò che è represso prima o poi emerge, altrimenti sarebbe un soffocamento. Il problema è dare un volto e un nome a questi bisogni e con essi bisogna fare i conti, conti relazionali e individuali, con l’altro con cui si è in relazione. Conti sospesi, quelli individuali, hanno antica data, sepolti nella nostra infanzia e perciò sconosciuti, anche se sono attivi. Non c’è altra strada, se si vuole essere sinceri con se stessi e con l’altro. Strada difficile se il dialogo si interrompe. Ecco a cosa serve la psicoterapia: riaprire o aprire il dialogo se non c’è stato prima. Specialmente se, come di dice lei, “Io non sono una brava comunicatrice ma secondo me Franco non è capace di ascoltare e con lui mi sembrava di parlare senza avere la voce”.

Quanta verità in quel parlare senza avere la voce, è il parlare non verbale, la comunicazione non verbale che tutti noi usiamo specialmente quando dobbiamo comunicare sul nostro modo di essere in relazione con l’altro. È il linguaggio dimenticato, il primo linguaggio appreso fin dalla nascita che continuiamo ad usarlo, ma non più capaci decifrarlo perché non ha una grammatica, ma una semantica ricca e profonda, ma ambigua, perché lo stesso segno comportamentale può avere significati diversi. Il bacio di Giuda, non era gesto di amore, ma di tradimento.

Dora:     Sono sincera, c’è da dire che non pensavo fosse così dura crescere i figli e a volte non mi sento proprio così materna. Questo è un problema secondo o lei?

Terapeuta:     Può esserlo, anche se bisognerebbe specificare cosa si intenda per essere materna. Certo, può essere una mancanza per i figli, ma se può consolarla le ricordo quello che diceva Freud, secondo cui tre sono i mestieri impossibili, quello di esseri genitori, insegnanti, e psicoterapeuti. Ma impossibili non vuol dire fallimentari e negativi nella cura dei figli. I migliori genitori sono quelli che ammettono e riconoscono i loro limiti e le loro mancanze, perché allora possono rimediare, ma quelli che si credono perfetti e maestri sono i peggiori. E io li ho fatti tutti e tre, con quali risultati non lo so.