A proposito di psicoterapia familiare

“Framo diceva che il terapeuta di famiglia cerca di curare sempre una sola famiglia, la propria, e Borges scriveva nell’epilogo delle sue Opere Complete:

«Un uomo si propone il compito di disegnare il mondo. Trascorrendo gli anni popola uno spazio con immagini di province, di regni, di montagne, di baie, di navi, di isole, di pesci, di dimore, di strumenti, di astri, di cavalli e di persone. Poco prima di morire, scopre che quel paziente labirinto di linee traccia l’immagine del suo volto».*

Le difficoltà che una persona, nel presente, ha nella coppia, nella famiglia o con se stessa possono essere viste, fondamentalmente, come sforzi riparativi che hanno lo scopo di correggere, padroneggiare, rendere innocui, elaborare o cancellare antichi paradigmi relazionali, che sono sentiti come disturbanti e che provengono dalla famiglia d’origine. Nelle relazioni intime che ci scegliamo, tutti noi cerchiamo di trovare una risoluzione interpersonale per i nostri conflitti intrapsichici.**

I figli adulti devono risolvere i loro conflitti con i genitori prima che questi muoiano. I distacchi devono essere ricuciti e i propri demoni interni di un passato che non è stato perdonato deve essere elaborato.

Riuscendo a saper perdonare i propri genitori, si riesce a percepire i partner e i figli in un modo più realistico.**

Credo così che l’apprendimento si faccia meglio quando si vedono i maestri prendersi le loro responsabilità, soffrendo insieme ai loro pazienti nel conseguimento degli obiettivi tracciati, in un compito condiviso che li avvicina, in una lotta «corpo a corpo» con le difficoltà, facendo della psicoterapia un’esperienza fondante di risanamento e di creatività e, in ultima istanza, di amore.*

*  Alfredo Canevaro, Quando volano i cormorani, Borla – **Alfredo Canevaro, James Framo: la sua opera, la sua vita – Terapia Familiare 2002

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Commento

C’è bisogno tutta una vita per imparare a conoscersi e alla fine dopo tanto girare ci troviamo con noi stessi al punto da dove siamo partiti! Che non vuol dire allo stesso punto di prima da cui siamo partiti, ma che ritorniamo nella famiglia in cui siamo cresciuti e da cui ci siamo allontanati per esplorare il mondo esterno e soprattutto quello interiore. Pima o poi sentiamo il bisogno di fare i conti, sciogliere i nodi, liberarci da tormenti, chiarire i legami relazionali e possibilmente, se ci si riesce, far pace con noi stessi e gli altri nostri familiari. L’analogia del viaggio di Borges, presa a prestito da Canevaro, è il viaggio interiore con cui noi tutti facciamo i conti, è un’esplorazione dello spazio interiore alla ricerca della nostra identità che sempre ci sfugge nella sua pienezza, anche quando pensiamo di averla raggiunta. Perchè il chi siamo affonda le radici in quel che siamo stati e in una parte della nostra storia che non conosciamo totalmente ” L’uomo ha un territorio interiore sovrano, ma è tutto e sempre al confine, e, guardando dentro di sè, egli guarda negli occhi dell’altro e con gli occhi dell’altro” (M. Bachtin L’autore e l’eroe).

Scopriamo così che in noi ci sono presenze generazionali, da quelle più vicine a quelle più lontane e ognuna deposita e infonde qualcosa dentro di noi, di cui non sempre siamo consapevoli, almeno, non immediatamente, e di che pasta siamo stati impastati. Ci vuole un viaggio all’indietro, che dura tutta una vita, per capire chi siamo e quanto debitori a quelli che abbiamo conosciuto e con cui siamo stati in relazione. Ma debitori anche a quelli sconosciuti, ma presenti per quella parte che hanno depositato e infuso, pur senza saperlo.

Potremmo fare a meno di interrogarci continuamente sui nostri movimenti interiori, su cosa abbiamo ricevuto dagli altri e su come gli altri abbiano potuto influenzare il nostro cammino e la nostra destinazione, ma sarebbe un vivere da ciechi e non avremmo risposte al perché del nostro star male, quando questo perché ce lo poniamo.

“Considerate la vostra semenza

fatti non foste a viver come bruti

ma per seguir virtute e canoscenza

Per questo bisogna tornare indietro per poi ripartire con più forza e sicurezza. Proprio come fa il cormorano quando impara a volare che prima di abbandonare definitivamente il nido e i genitori per il volo definitivo fa l’esperienza in cinque tappe di andata e ritorno di diversi giorni.

Ho fatto i conti, nel mio lavoro di psicoterapeuta ho visto più di trecento famiglie, alcune presenti fisicamente, la maggior parte attraverso lo specchio di un familiare nel suo raccontarsi in seduta. Specchio in cui anch’io ho cominciato a vedermi, quando sentivo che il racconto degli altri, le loro vicende, le loro sofferenze attivavano in me risonanze mie personali. La prima volta che ne ho avuta piena consapevolezza è stata quando somministrando un test sull’attaccamento adulto alla domanda conclusiva: Che cosa spereresti che tuo figlio impari dall’avere te come genitore?, ho cominciato a pensare: “E io, che risposta darei”? Non ero neutrale alle risposte degli altri. E ogni volta nella storia di un paziente ho visto una parte della mia storia e della mia famiglia, pur nella sua unicità, anche se le dinamiche relazionali sono le stesse. E anche per questo James Framo, pioniere della psicoterapia familiare, sintetizza il lavoro di uno psicoterapeuta della famiglia in un occuparsi della propria famiglia, pur occupandosi di tante famiglie diverse, un tornare indietro per capire meglio se stessi e per poter capire meglio gli altri.

Così facendomi maestro di me stesso ho imparato a “soffrire insieme ai pazienti nel conseguimento degli obiettivi tracciati, in un compito condiviso che li avvicina, in una lotta «corpo a corpo» con le difficoltà, facendo della psicoterapia un’esperienza fondante di risanamento e di creatività e, in ultima istanza, di amore”.

Cosa che si impara andando avanti con il tempo, maestro saggio e prezioso.

Mi fido più di lui che dei libri. GB