Ancora su mio padre e con mio padre – – Giuseppe Basile

“Ogni volta che la nostra vita procede in avanti e si separa dai vecchi legami non li cancella mai del tutto poiché, nel bene e nel male, quei legami hanno costituito la nostra stessa esistenza. Camminiamo in avanti portandoci dietro quello che abbiamo vissuto. Per questa ragione Henri Bergson paragona il tempo a una valanga che, mentre scende rapidamente verso valle, accumula tutta la neve che ha potuto raccogliere nella sua corsa.

I legami che hanno nutrito la nostra vita proseguono incorporati nella nostra vita. Non solo quei legami rispetto ai quali la nostra gratitudine dovrebbe essere grande, ma anche quei legami che ci hanno ferito, fatto cadere, pugnalato. Tutto ciò che è stato fondamentale per la mia vita (nel bene e nel male) e da cui mi sono separato fa parte della mia esistenza per quello che essa è divenuta.

Se il lavoro del lutto permette alla nostra vita di non portare più sulle sue spalle il peso di ciò che ha perduto e di ritornare a vivere, questo non significa che si possa negare la ferita che si è impressa in modo indelebile a causa di quella perdita. Si tratta di una vera e propria cicatrizzazione in divenire. Una cicatrice è infatti una traccia che si è depositata sul corpo e che ricorda una ferita.

Ma, diversamente da quelle dei nostri animali, le cicatrici psichiche, sebbene restino invisibili, sono perennemente vive, non cessano di spurgare, non cicatrizzano mai del tutto. Sono il segno visibile del carattere necessariamente incompiuto dei nostri lutti. È da questo resto che non può essere integrato compiutamente nel nostro Io, né semplicemente dissolto nell’oblio, che scaturisce il sentimento della nostalgia”.

Massimo Recalcati, La luce delle stelle morte, pag. 88

Commento

Sono ormai quasi vent’anni da quando mio padre mi lasciò questa sua eredità alcuni mesi prima di morire “ ’Ma raccumannu, nun t’ ‘a scurdari ri mia”.

Questo comandamento è sempre vivo e presente nella mia mente, come una ferita, come “una vera e propria cicatrizzazione in divenire”.

Anche se ho mantenuto la promessa di ricordarlo, quando posso e quando ne ho occasione per parlare anche di me, continuo a interrogarmi. Leggendo la pagina di Recalcati, la mia ferita si apre: “Cosa avrà voluto dirmi veramente con il suo non ti scordare di me?”.

Ho a lungo meditato, ho riallacciato con lui un discorso che non ho mai interrotto. Quella eredità lasciatami era una intuizione improvvisa, un messaggio occasionale favorito dal silenzio reciproco di una tiepida serata settembrina? Ma credo che ci fosse, forse, qualcos’altro.

Mi son messo nei suoi anni, bambino, adolescente che si vive dentro una ferita: il padre mai visto, sconosciuto, non perché scomparso, ma morto in guerra. Di cui penso, avrà saputo poco dalla madre, anche lei ferita, che non ama parlare al bambino, perchè il trauma doloroso è sempre vivo. Al trauma della morte del giovane marito si aggiunge il trauma di dover lasciare il bambino alla nonna, che lo ha allevato, perché il nuovo marito, anche lui vedovo, le impone di non portare con sé il figlio Vincenzo nella nuova famiglia.

Mi chiedo: avrà sentito mio padre la mancanza incomprensibile della madre che abitava a quasi cento metri da quella della nonna? E crescendo, ha avuto modo di conoscere la storia di suo padre, di cui nessuno più parla? Solo nel 1963 mio padre chiede al Ministero della Difesa il luogo della sepoltura del padre, cioè 47 anni dopo. Si fa un senso di colpa di non aver fatto prima un pellegrinaggio per andarlo a trovare dopo 47 anni?

Può essere anche questa una sua ferita, quella di aver dimenticato suo padre, che era rientrato dall’America dove era emigrato per poter vedere suo figlio mai visto, prima di andare in guerra. Questo sarà stato il suo tormento: avere un padre dimenticato da tutti, come se non fosse mai esistito e fosse lui stesso quasi figlio di nessuno. E questo spiegherebbe perché con noi figli non ha mai parlato del nonno, della sua infanzia e della sua vita privata.

E’ questo allora il senso della sua richiesta e della sua verità: essere ancora vivo se c’è qualcuno che si ricorda di te. Richiesta e verità che faccio mie e che anch’io trasmetto, quasi un nuovo gioco della staffetta familiare in cui ci si passa il testimone.