Cari adulti, imparate a restare bambini – di Pietro Citati

Cari adulti, imparate a restare bambini

di Pietro Citati

Sul numero del 31 agosto, a pagina 21, Repubblica ha pubblicato un interessantissimo articolo di Cristina Nadotti, che riferisce un’ inchiesta svoltasi, in Inghilterra, tra migliaia di genitori e bambini dai cinque ai quindici anni. I genitori inglesi (come certo quelli italiani) non sanno giocare con i figli: siedono accanto a loro davanti a un videogioco, tacciono, e si annoiano profondissimamente. Quando vengono interrogati, hanno sempre una scusa pronta: non hanno tempo, soffrono di stress (questa parola orribile), sono preoccupati per la crisi economica, per la guerra in Afghanistan, per le prossime vacanze in Italia, per la salute della madre, per le prossime elezioni politiche, per una partita a bridge con il cugino; e se hanno più di un figlio, li accusano di essere incapaci di giocare, perché litigano incessantemente. Poi, come è naturale, qualsiasi cosa accada, «tutta la colpa è sempre della società». L’inchiesta inglese rivela una condizione tremenda. Sebbene si proclamino intelligenti e progrediti, gli uomini del 2010 hanno perduto quella che Goethe chiamava «la natura originale» e Leopardi «il primo uomo». Hanno ucciso la loro anima infantile, che dovrebbe accompagnarli sino alla morte. Appena l’infanzia muore o si esaurisce in noi, si spegne l’ immaginazione, il cuore, l’intelligenza, l’intuizione psicologica, l’estro, il gioco, l’eccentricità, la solitudine, la tenerezza, il divertimento. Diventiamo spettri lenti e tediosi. Non abbiamo più né amori né amicizie. Non riusciamo a respirare. Un cielo tenebroso si posa, plumbeo e soffocante, sopra il capo, e getta lampi di tenebre su tutte le occasioni della nostra esistenza. Non si vede per quale ragione dobbiamo continuare a vivere, se abbiamo completamente smarrito il senso e la luce della vita. Soltanto se restiamo in qualche misura infantili, continuiamo a capire l’infanzia: ciò che è uno dei massimi doni dell’ esistenza. Perché lì, in quelle risa e in quei pianti e in quei rossori e in quelle parole e affermazioni impossibili, si nasconde qualcosa che non appartiene al «qui»: soffia un altro tempo, un altro spazio, un’altra musica. Se non riusciamo a cogliere questo soffio siamo creature diminuite. Così, dobbiamo moltiplicare i nostri rapporti con i bambini.

[…] Tra padre, madre e figli tutto può diventare gioco, perché lo spirito dell’infanzia si impadronisce di tutto. E niente insegna più dei giochi.

[…] E bisogna ricordarsi di una cosa. I bambini devono vincere quasi sempre: non si può togliere loro questo immenso piacere. Alcune ingiustizie possono essere tollerate. Ma, qualche volta, la biglia del padre o della madre deve arrivare per prima. Così accade nella realtà, dove vincono i grandi; e, sebbene i giochi appartengano al regno dell’immaginazione, debbono risvegliare, all’ orecchio del bambino, almeno un’eco lontana del mondo reale.

-Repubblica — 02 settembre 2010

 

Commento

Perdere l’anima infantile”, questo è il rischio e il danno dell’essere adulti. Perdiamo la nostra anima infantile quando non giochiamo più con i bambini, perdiamo la nostra immaginazione creativa, la magia di cambiare la realtà, la libertà della spontaneità di manifestare i nostri sentimenti. La libertà di essere noi stessi, ingabbiati in una rete di vincoli sociali sempre più stretti. La libertà di sognare, la libertà di commuoversi, la libertà di chiedere aiuto. La libertà di mantenere e custodire il nucleo di essere ancora bambini. A tempo quasi scaduto, in altra età, recuperiamo il nostro essere bambini giocando con i bambini, quando siamo capaci di riprenderci il tempo, cessate le corse comandate, anche se per un momento, ritorniamo bambini con i bambini. Ho la fortuna di avere di avere un’amica di 5 anni, Alice, che mi aspetta, quando può, per giocare e parlare anche se al di là della ringhiera che separa le nostre abitazioni. E’ lei, e prima ancora le mie nipoti Alice e Aurora, la mia maestra di fantasia, di inventiva pronta, del bisogno di “essere con” un altro con cui condividere gioco ed esperienza, la testimone di un tempo che non appartiene più agli adulti, che nasconde qualcosa “che non appartiene al «qui»: soffia un altro tempo, un altro spazio, un’altra musica“ nel cuore della mia amica e maestra. Tempo antico che ogni tanto riemerge dal profondo del pozzo e si fa presente, amico e nemico.

E presente anche con le ferite subite, i bisogni delusi, le mancanze vissute, gli abbandoni dolorosi, le incomprensioni di tanti perché. Il tempo infantile non è sempre per tutti un tempo idilliaco e nostalgico. Un tempo che reclama riparazione, se si può, dando ascolto al bambino che tutti noi abbiamo dentro, anche se silenzioso, che ci racconta un’altra storia a saperla leggere. E la riparazione l’adulto-bambino non sempre può farla da sé, ha bisogno di altri testimoni che con lui sono cresciuti e con lui hanno costruito la storia familiare. Le ferite si rimarginano, se c’è la conoscenza della storia individuale e della storia familiare. Purtroppo viviamo sempre più nel presente frenetico, e difficilmente e raramente volgiamo lo sguardo indietro per capire chi siamo e come siamo diventati quelli che siamo. E così nello stesso tempo non sappiamo invecchiare, perduti dietro chimere giovanilistiche propagandate ai quattro venti, piuttosto che mantenere il cordone ombelicale con il mondo fantastico e creativo dei bambini. Apparentemente sembra un problema insignificante, “tanto la vita va avanti lo stesso” si sente dire. Fino a quando però l’insoddisfazione, il disagio di vivere, la sofferenza diventa psicosomatica. Allora in psicoterapia familiare per capire il senso del malessere è necessario ritornare indietro, ascoltando il bambino-adulto che è in noi, che si fa portavoce di una storia familiare sconosciuta e penalizzante senza saperlo.

Con l’obiettivo e la speranza di scoprire possibilmente una nuova storia.

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