Che cosa strana è il mondo – Che luce sia! – 10

Raffaello La scuola di Atene

IL FILO DEL VECCHIO

Platone è un poeta, un matematico, un regista e un filosofo. Aristotele è un sapiente, un naturalista, un biologo e un filosofo. È il discepolo di Platone e il suo opposto. Platone procede per piccole tappe, spesso quasi esitanti, per quadri successivi e, con il personaggio di Socrate, per domande e risposte. Aristotele è il primo a costruire un sistema rigoroso in cui tutto il sapere del suo tempo è sistemato e organizzato. Dà forma a quel sapere e questa forma, di conseguenza, impregna del suo senso tutta la materia che essa contiene. Forzando un po’ le cose, si potrebbe vedere in Platone un artista simile a un pittore che offre alla contemplazione delle immagini giunte da un mondo più bello e più elevato del nostro e in Aristotele uno scultore molto saggio che fa scaturire da un blocco di marmo le creature e le cose di questo mondo in cui viviamo. Nella sua Scuola di Atene in Vaticano, Raffaello rappresenta Platone che alza l’indice verso l’alto e Aristotele che lo punta verso il basso.

Ciò che impregna sia Platone che Aristotele, che credono entrambi a una realtà nascosta dietro le apparenze, è la dottrina dell’ essere, è l’ontologia. Platone cerca l’essere nel cielo delle idee eterne e immutabili in cui Socrate spera di andare dopo la morte. Aristotele, con il gioco della materia e della forma, delle cause e degli effetti, fa scendere sulla nostra Terra e nella vita di ogni giorno un po’ della perfezione segreta dell’ essere.

Aristotele pensava che la Terra appartenesse a quel mondo mutevole e imperfetto in cui la vita, la fatica e la morte combattono con la perfezione dell’ essere. In quel mondo, costituito da terra, acqua, aria e fuoco, il movimento naturale era verticale. Ogni cosa si muoveva in linea retta, dall’ alto in basso o dal basso in alto. L’aria e il fuoco salivano verso il cielo, la terra e l’acqua cadevano verso il suolo. L’universo, invece, il mondo perfetto, quello del Sole e delle stelle che giravano intorno alla Terra, non conosceva né l’usura né la morte. Non aveva inizio né fine. Era immutabile e eterno.

Rivisto e corretto cinquecento anni più tardi da un astronomo greco d’Egitto chiamato Tolomeo, che fa !a sintesi delle conoscenze acquisite nei pochi secoli che lo precedono, l’universo platonico e aristotelico assume la sua forma definitiva. Il Sole, la Luna, i pianeti e le stelle girano secondo un movimento circolare intorno alla Terra immobile. La Terra occupa la posizione centrale, circondata da otto sfere di cristallo concentriche che portano rispettivamente la Luna, il Sole, i cinque pianeti conosciuti all’epoca – Mercurio, Venere, Marte, Giove, Saturno – e infine le stelle. Alla sfera più esterna sono attaccate le stelle che sono fisse, che hanno la stessa posizione le une rispetto alle altre e che ruotano in blocco. Ciò che c’è al di là di questa ultima sfera oltrepassa il sapere degli uomini.

Il modello di Tolomeo si imporrà per quasi due millenni prima di essere attaccato su due punti essenziali: prima di tutto, sembra sempre meno che la Terra sia al centro di tutto, e i quattro cavalieri dell’Apocalisse, Copernico, Galileo, Keplero, un po’ più tardi Newton, propongono un’altra ipotesi, più ardita, più seducente e che rende meglio conto dei movimenti apparenti degli astri nel cielo; e poi, molto più tardi, altre menti audaci finiranno per chiedersi se l’universo è veramente così eterno e così immutabile come sosteneva Aristotele .

IL SOGNO DEL VECCHIO

La questione per gli uomini è meno il sapere se esisto o non esisto – e esistere è un verbo curioso quando si applica all’essere: si può dire che l’essere esiste? L’essere è, è cosa nota: esiste? È un’ altra storia – che seguire l’idea e l’immagine che le generazioni successive si sono fatte, in regioni diverse, di quel sogno evidente e del tutto inverosimile al quale danno il nome di Dio. Nella loro testa e nel loro cuore io vado, vengo, scompaio, riappaio. I primi uomini mi ignorano. Il mio regno si stabilisce abbastanza tardi. Con Abramo. Con Aton, brevemente, a Tell el-Amarna, in Egitto, al tempo di Amenofis IV. Con Mosè.

Con Gesù. Con Maometto. Nelle sillogi dei Barbari, che sono tutti cristiani – eccetto gli Unni – e che sconfiggono l’Impero romano, io trionfo per secoli, durante quel lungo periodo che chiamano il Medioevo, poi per tutto il tempo dei regni dei califfì di Bagdad, di Carlo V, di Luigi XIV, dei Barboni, degli Absburgo, dei Medici, dei Romanov, dei sultani della Sublime Porta. Dò dei segni di debolezza sotto i Lumi, vacillo sotto le Rivoluzioni – in Toscana, in Inghilterra, in Francia, in Russia, in Cina – e sotto la democrazia. Il grande vento della scienza mi prosciuga.

Deperisco. Agonizzo. La mia morte è proclamata da Karl Marx e da Nietzsche. Rinasco dalle mie ceneri con Chateaubriand, con Dostoevskij, con Péguy, con Claudel, con T.S. Eliot, con Solgenitsin, con i pastori, le sarte, i pregiudicati un po’ dappertutto e gli ubriaconi di strada.