Che cosa strana è il mondo – Che luce sia! 9

IL FILO DE LABIRINTO

Dopo Omero, e con Eschilo, Sofocle, Euripide, i tre tragici, i due più grandi nomi dell’antichità greca sono Platone e Aristotele. Così diversi gli uni dagli altri per i loro stili e le loro menti, eppure così vicini per la lingua e l’elevazione, questi sei scrittori domineranno il pensiero, la letteratura, la filosofia occidentale per più di due millenni. E, in verità, fino a noi. A partire dal Rinascimento, che segna un ritorno all’antichità dopo il lungo Medioevo, e soprattutto tra il XVII e il XX secolo, il mondo e l’immagine che ce ne facciamo cominciano a cambiare sempre più rapidamente. I nostri antenati e i nostri maestri sono Omero, Platone, Aristotele e quelli che, da quattro secoli, sono insorti e hanno lottato contro la loro dominazione.Platone è uno dei più grandi tra i filosofi. È anche uno scrittore che si riferisce spesso a Omero. Inventa un genere letterario nuovo che porta immediatamente alla sua massima eccellenza: il dialogo. Di una bellezza fisica notevole, Platone viene da una famiglia aristocratica e illustre.Mette in scena il suo maestro Socrate, di origine modesta, che era grosso e brutto, che non ha scritto una sola riga e il cui prestigio e la cui influenza sui suoi discepoli non hanno mai avuto eguali. I dialoghi platonici – il Simposio, il Fedone, il Fedro, in cui le cicale cantano a perdifiato sotto i platani e in cui Socrate e Fedro immergono i piedi nell’Ilissos, il Protagora, la Repubblica, il Teeteto, il Timeo e tanti altri – riportano le conversazioni tra Socrate e un certo numero di interlocutori il cui ruolo principale sembra limitarsi ad approvare il maestro ma consiste anche, ed è la cosa più importante, nel rilanciare e approfondire la sua riflessione. Socrate interroga. Parla e ascolta. Più spesso, comincia col fare una domanda:«Dimmi, cos’è dunque, per te, il Bello?». O: «Cos’è il Bene?».O ancora: «Cos’ è la Giustizia?».L’interlocurore risponde. Il metodo socratico, come lo presenta Platone, consiste nell’ accettare subito la risposta. «Ah, ecco, è ciò che pensi. Ne consegue allora che…».«Certo», risponde l’altro.«Dunque siamo costretti a dire …».«Certo, Socrate. Hai ragione».Così si svolge, passando da un argomento all’altro, il concatenarsi delle evidenze, finché si arriva a una conclusione apparentemente incontestabile. È allora che si mette in gioco tutto e Socrate torna al primo enunciato:«Ma non avevamo detto prima che…? E non ne consegue che …?».«Ah! Certo, Socrate».«Ma allora, siamo costretti a dire …»,Un altro filo del ragionamento si svolge a partire dalla prima risposta che era stata data, un filo che conduce altrove rispetto ai precedenti – e, il più delle volte, a un risultato opposto. Finché Socrate finisce per constatare:«Ma com’ è possibile? Prima eravamo arrivati a una conclusione, ora arriviamo a un’altra conclusione, molto differente» .È il momento dell’imbarazzo, della perplessità, dell’esperienza del non-sapere. La tradizione ha chiamato questo procedimento l’ironia socratica, primo abbozzo di quel dubbio filosofico che ritroveremo in Cartesio. La famosa formula di Socrate: «So che non so niente» non è l’espressione di una modestia eccessiva. Significa che il filosofo, che credeva di sapere e che scopre di non sapere, non si soddisfa più di quelle apparenze del vero di cui, per facilità, per debolezza, per andare più veloce, ci contentiamo il più delle volte. Ciò che egli cerca è meno una verità assoluta, quasi impossibile da raggiungere, e più l’esigenza, continuamente rinnovata, di una verità sempre più alta. Attraverso la figura di Socrate che è allo stesso tempo suo modello e suo portavoce, tanto che è difficile capire qual è la parte di Socrate e quella di Platone nel discorso che Platone, nei suoi dialoghi, mette in bocca a Socrate, l’autore del Simposio e della Repubblica crede ai numeri, alla geometria, a una realtà nascosta dietro le cose sensibili alla loro ingannevole apparenza, a quella immortalità dell’ anima di cui Socrate, nel Fedone, parla con splendore nel momento di morire.

IL SOGNO DEL VECCHIO

Ci sono meno idee che esseri umani. Modificati dal tempo e dalle circostanze, gli stessi temi ritornano, in forme diverse, in epoche successive. L’essere passa da Parmenide a Platone, da Platone a Spinoza, da Spinoza a Heidegger. La dialettica passa da Eraclito a Hegel e da Hegel a Marx. L’ironia e il dubbio passano da Socrate a Cartesio e da Cartesio a Kierkegaard. L’idea di un centro dell’universo è di tutti i tempi. Ora è un fuoco; ora è la Terra; ora è il Sole. Finché gli uomini scoprono, dopo Pascal e Einstein, che non c’è affatto un centro.