Che cosa strana è il mondo – Che luce sia! 12

IL FILO DEL LABIRINTO

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Cacciato da Copernico dal suo posto al centro del mondo, gettato da Newton in un universo meccanico, l’uomo restava una creatura creata da Dio a sua immagine. I suoi antenati non risalivano a molto lontano e lui conservava nel cuore il ricordo incantato della vita idilliaca e piena di nobiltà che aveva condotto, prima dell’ errore, nel panorama da sogno del Paradiso terrestre. L’illusione non sarebbe durata molto. Una prova più crudele di tutta la valanga di modelli successivi dell’universo lo attendeva verso la metà del secondo Impero, ai tempi di Morny, di Offenbach, della regina Vittoria, della Carmen di Merimée. Un inglese, grande cacciatore di beccacce e collezionista di farfalle, pubblica un’opera esplosiva: Dell’origine delle specie.

[…] Alto e forte, di salute mediocre, figlio tranquillo e obbediente di un medico considerato e noto all’epoca, ottimo padre, ottimo marito, piuttosto conformista, quest’apostolo della rivoluzione più decisiva dei tempi moderni passava, da giovane, per un uomo distratto. «Ti preoccupi solo della caccia, dei cani e dei topi – brontolava. suo padre, il medico – Sarai una vergogna per la tua famiglia e per te stesso!». La testa per aria, segue a Oxford qualche corso di botanica, si prepara a diventare pastore, quando gli si offre un’opportunità imprevista: gli viene proposto di partire come compagno del capitano Robert Fitz- Roy, ventisei anni e carattere difficile, per un lunghissimo viaggio di studio. Si imbarca sul Beagle che, il 27 dicembre 1831, «dopo essere stato più volte respinto sulla riva da enormi raffiche di vento di sudovest» leva l’ancora a Plymouth per un giro del mondo di cinque anni. Il 2 ottobre 1836, il Beagle è di ritorno a Falmouth.

Lungo questa navigazione di cinque anni, in Brasile, Argentina, alle isole Falkland, nella Terra del Fuoco, in Cile, nelle isole Galapagos dalle quali riporta tutta una serie di campioni, in Australia, nelle isole Cocos, nell’isola Maurice, in Africa del Sud, Darwin raccoglie informazioni, accumula osservazioni, assomma scoperte – e contrae una febbre che non lo lascerà mai più. Un quarto di secolo più tardi, dopo aver letto Malthus, che sostiene che gli uomini sono troppo numerosi sulla Terra perché la popolazione cresce secondo una progressione geometrica – 1, 2, 4, 8, 16, 32 … – mentre i mezzi di sussistenza aumentano secondo una progressione aritmetica – 1, 2, 3, 4, 5, 6… – e aver sposato sua cugina Emma che gli darà sei figli, pubblica a Londra, il 24 novembre 1859, Dell’origine delle specie, che ha un successo inaudito: stampato in milleduecentocinquanta esemplari, la prima edizione è esaurita in un giorno. Il successo prende subito le dimensioni di uno scandalo senza precedenti. Ventitrè anni dopo l’uomo distratto sarà seppellito, accanto a Isaac Newton, nell’abbazia di Westminster.

Che dice l’autore di questa bomba? Afferma che tutte le specie viventi discendono da un antico antenato comune e che una selezione naturale, ispirata da Malthus, elimina i meno adatti. Non soltanto gli uomini sono fratelli, ma tutti gli esseri viventi sono cugini e condividono la stessa origine, di una spaventosa modestia. Darwin si guarda bene dall’ evocare nella sua opera la parentela tra l’uomo e la scimmia. Ma non ci si può sbagliare. Il libro di Darwin tesse dei legami stretti tra l’umanità e il regno animale, tra le scimmie e gli uomini, e urta la sensibilità di un’immensa maggioranza di lettori.

Nel giugno 1860, sette mesi dopo la comparsa del suo libro, uno storico dibattito si svolge a Oxford davanti a settecento persone. Da un lato, il feroce vescovo di Oxford, Samuel Wilbeforce; dall’altro, un fervente sostenitore dell’ evoluzione, il fisiologo ed embriologo Thomas Huxley, soprannominato «il bulldog di Darwin», nonno di due fratelli illustri: Julian Huxley, biologo, professore di zoologia, primo direttore generale dell’Unesco, e Aldous Huxley, romanziere e saggista, influenzato alla fine dal buddismo e dall’India, autore dallo scetticismo corrosivo e paradossale di tutta una serie di capolavori sbalorditivi, tra i quali Punto contro punto e Il mondo nuovo.

Un dialogo celebre, già entrato nella leggenda, che l’ha sicuramente arricchito, inizia tra Wilbeforce e Huxley. Il vescovo chiede al sostenitore di Darwin se discende dalla scimmia per via di nonno o per via di nonna. E Thomas Huxley replica che come antenato preferisce avere una scimmia che un vescovo imbecille che rifiuta di guardare in faccia la verità.

È che, molto più dei sistemi di Copernico o di Newton, il trasformismo e la teoria dell’evoluzione costituiscono una rivoluzione dalle conseguenze mortali per la religione e la fede. L’uomo non è più creato da un Dio che lo forma a sua immagine: esce da un processo senza volontà esterna e senza causa, senza alcuna finalità e privo del minimo senso, che gli verrebbe imposto dal di fuori. Già cacciato dal centro dell’universo, eccolo ora spogliato della sua corona di gioiello supremo della creazione. È a immagine di quelle scimmie di cui è cugino piuttosto che a immagine di un Dio di cui non è più il figlio. Se Darwin ha ragione, a quale stadio di un’evoluzione che si estende per milioni di anni un’anima di origine divina avrebbe potuto essere introdotta nel corpo di questi uomini che vengono da animali che vengono essi stessi da piante che vengono esse stesse da batteri? Siamo dei primati, degli uccelli, dei pesci, degli alberi, delle alghe, dei batteri, della polvere di stelle. Dove potrebbe inserirsi il peccato originale? Se le scimmie e noi, i cani e i gatti, le tigri, gli elefanti, le tartarughe e le spugne, le alghe e i batteri, abbiamo tutti un’origine comune, Dio ha ancora un ruolo nell’ evoluzione della vita? Occupa ancora un posto in questo mondo abbandonato a se stesso?

Nel momento in cui l’uomo scopre l’umiltà delle sue origini, l’orgoglio lo invade: la teoria dell’ evoluzione ha reso superfluo Dio.

IL SOGNO DEL VECCHIO

E l’evoluzione, da dove viene? Dal niente, dall’aria del tempo, dal caso, dalla necessità? La necessità, la legge, i numeri, l’ordine delle cose, non sarei io? Il caso, la sorpresa, l’inatteso, il futuro, non sarei io? E il tempo, non sono io, forse? E il niente, non sarei io? lo sono il tutto e il niente. Il tutto sono io. E il niente anche. Tutto ciò che succede nel loro mondo, che è prima di tutto il mio, proviene solo da me. E quando credono che non ci sia niente, sono ancora io che ci sono.

Mi risistemano la storia della gravitazione. Scoprono poco a poco le mie strade e le mie leggi perché io gli permetto di scoprirle e me le buttano in faccia urlando: «Il Vecchio non è più buono a niente! Il Vecchio è diventato inutilel». Se fossi uno di quegli uomini definiti orgogliosi e arroganti dal cacciatore di beccacce convertito alla tassonomia e che si dichiarano delle scimmie dalle quali sanno di essere diversi, gli direi: «Polvere di stelle! Coglioni».

Jean d’Ormesson – Che cosa strana è il mondo