UN COLPO DI FULMINE
Un giorno d’estate, su una delle coste di quel Mediterraneo orientale in cui tutto è cominciato duemilacinquecento anni fa, è successo qualcosa.
Avevo nuotato a lungo in una specie di rapimento. Uscivo dall’acqua. Il sole, in alto, picchiava sempre molto forte. Il cielo era sempre azzurro e implacabile. Le cicale cantavano. Mi sedetti sul tronco di un albero abbattuto dalla tempesta o su un pezzo di colonna rovesciata. Sognavo tutti quelli che, da tre o quattro millenni, erano passati in quei luoghi ai tempi di Omero o di’ Alessandro, di Cleopatra o di Marco Antonio, di Giustiniano, di Dandolo. E c’ero io. Mi prese una vertigine. Forse per le mie due ore di nuoto e lo sforzo che avevo fatto, le cose intorno a me vacillarono improvvisamente. Gli alberi, le rocce, il sole sul mare, la bellezza dei colori e delle forme, tutto mi diventava estraneo e opaco. Il mondo perdeva di evidenza. C’era solo una domanda. Inebriante, piena di promesse. Gigantesca, piena di minacce. Mi dicevo: «Cosa ci faccio qui?». Chiudevo gli occhi. Il fulmine mi colpiva.
Perché c’è qualcosa invece di niente?
IL MONDO MI STUPISCE
La domanda non era nuova. Leibniz se l’era già posta – Cur aliquid potuis nihil? – e Heidegger l’ha ripresa. Non mi ha più lasciato. È diventata una ossessione.
Si sa com’è quando si ha un’idea in testa. Non ci lascia né giorno né notte. Non si ha tregua. Si diventa strani. Non soltanto la mia esistenza – è abbastanza frequente, credo – ma anche il mondo intorno a me mi sembrava inverosimile. Tutto mi stupiva. Di esserci, che il sole brillasse, che cadesse la notte, che venisse il giorno. Di scrivere queste righe e che voi le leggeste. Che ci fosse qualcosa che a torto o a ragione chiamiamo «il reale» o «la realtà» e che mi sembrava improvvisamente avvicinarsi pericolosamente a una specie di sottile illusione o a un sogno ricorrente.
LEGGO DEI LIBRI
Leggevo dei libri. Mi informavo. Imparavo che Cartesio aveva cominciato col chiedersi se sognava e col mettere in dubbio tutto ciò che sapeva o che credeva di sapere. E che da questo dubbio era uscita perlomeno la certezza dell’esistenza del soggetto che dubitava – cioè lui stesso. Era già qualcosa. Imparavo che un vescovo inglese di nome Berkeley pensava che tutti gli oggetti materiali, lo spazio e il tempo, il mondo intero, non fossero che una illusione. Un avversario, dopo aver preso conoscenza della teoria di Berkeley, urlava: «La confuto!» e colpiva col piede una grossa pietra di fronte a sé.
Non era tanto la mia esistenza che mi preoccupava. Né l’esistenza del mondo intorno a me. I filosofi fanno finta di credere che non esistono e che il mondo non esiste. Sanno benissimo che appartengono a questo mondo e che la vita è un po’ tutta qui, e anche l’universo. Sanno che è meglio che pensare agli incidenti e ai malanni, che si deve pagare l’affitto, che c’è un codice della strada. Ciò che ignoriamo e che mi tormentava, è ciò che facciamo in questo mondo di cui non riusciamo a conoscere l’origine e il senso.
UN MONDO INESAURIBILE
Dall’ alto del mare di Ghiaccio, Monsieur Perrichon, in Labiche, l’aveva già notato: l’uomo è piccolissimo e il mondo è molto grande. La storia, la vita, l’universo sono inesauribili.
Proprio all’inizio, al Big Bang, il nostro tutto è ancora quasi niente: è minuscolo, più piccolo di una testa di spillo, di un grano di sabbia, di una polvere invisibile a occhio nudo. Ma c’è già qualcosa di gigantesco in lui: la temperatura, la densità, l’energia. E tutto il futuro del mondo. La quercia è già nella ghianda. L’essere umano tutto intero è già nel bambino, nel feto, nell’incontro dello spermatozoo e dell’ ovulo. E l’invenzione della scrittura, le conquiste di Alessandro, la fine dell’Impero romano, la distruzione di Bagdad ad opera dei mongoli di Hulagu, la presa della Bastiglia, la Rivoluzione russa, la caduta del muro di Berlino, e voi e io siamo già nel Big Bang.
Dieci miliardi di anni dopo il Big Bang, quando, per una ragione o per un’altra, la vita nasce sulla Terra, l’universo è già immenso. Le galassie si sono allontanate le une dalle altre e in un angolo sperduto di una di queste galassie nascono una dopo l’altra queste cose familiari e strane: la vita, le diverse specie, i primati, gli uomini, il pensiero.
Da quando appare l’uomo, appena qualche centinaio di migliaia di anni fa, la complessità del tutto fa un balzo prodigioso. I sentimenti, la memoria, l’immaginazione, il pensiero, più tardi la parola, più tardi ancora la scrittura e l’elettronica moltiplicano indefinitamente le diverse forme della realtà. I libri sono innumerevoli, ma in numero limitato. Le parole sono quasi illimitate, i sentimenti degli esseri umani e i loro sogni lo sono nel modo più assoluto.
C’è sempre di più nel mondo rispetto a tutto quello che ci possiamo immaginare. Più spazio intorno a noi, e sempre in aumento, più tempo dietro di noi e anche davanti a noi, più stelle nel cielo, più vita passata e futura, più passioni e più sogni nel cuore degli esseri umani. I creatori, anche geniali, sentono questo divario con un misto di orgoglio e disperazione. Quando Leonardo dipinge La Gioconda, quando Mozart termina il suo Don Giovanni, quando Dante scrive La Divina Commedia, sanno, ovviamente, che stanno aggiungendo alla creazione un capolavoro che rimarrà nel tempo. Ma sanno anche di non lasciare dietro di sé, per quanto possano essere sublimi, che un quadro, un’opera, un libro in più in mezzo a molti altri.