Che cosa strana è il mondo . 3 . CHE LA LUCE SIA

CHE LA LUCE SIA

IL FILO DEL LABIRINTO

I dinosauri erano scomparsi da un pezzo – da qualcosa come sessantacinque milioni di anni. Ma gli uomini non lo sapevano. Gli uomini di quel tempo non sapevano nemmeno che un grandissimo animale che nessun essere umano aveva mai visto e che noi chiamiamo dinosauro tosse mai esistito. Quegli antenati dei nostri antenati non sapevano che, qualche centinaio di migliaia di anni rlima, i loro stessi-antenati erano arrivati dall’Africa. E che gli antenati dei loro antenati usavano i quattro arti per muoversi in mezzo agli alberi o nella savana. Non sapevano quasi niente. Molto meno di noi, in ogni caso, che per un paradosso sorprendente ne sappiamo più di loro su un passato sempre più lontano. Loro erano ancora giovanissimi. Più forti e più agili di noi, avevano la mente annebbiata. Erano poco numerosi. Qualche migliaio, forse. Meno sicuramente proprio all’inizio. Qualche decina di migliaia un po’ più tardi in quella storia di cui aprivano il cammino. L’equivalente di una folla di oggi in uno stadio di calcio o a un concerto rock. Molti meno di un corteo di una manifestazione sulle piazze e le strade di una capitale contemporanea. Erano il sale della terra, e non lo sapevano. Sopravvivevano.

Stavano in piedi. Alzavano gli occhi verso il cielo. Si servivano delle mani per fabbricare degli strumenti che permettevano loro di cacciare, di pescare, di difendersi dai loro nemici. Sorvegliavano un fuoco che avevano addomesticato e che si passavano come un tesoro di generazione in generazione. Morivano molto giovani – quasi sempre prima dei trent’anni. Ridevano. Fischiavano come gli uccelli. Si mettevano a parlare. Gli capitava di cantare. I più dotati tra loro disegnavano sulle pietre gli animali o gli oggetti che gli erano familiari. Cavalli, bisonti, pesci, frecce. Suonavano il flauto. Cucivano. Si esercitavano con tecniche nuove e a servirsi del fuoco per cuocere i cibi o delle figurine di argilla. Iniziavano una storia che non sarebbe più finita. E idee oscure sorgevano nel loro cervello.

Abitavano, non so, in grotte, in capanne, su palafitte lungo le rive dei laghi o in mezzo alle paludi, in delle specie di nidi appesi tra gli alberi. Si succedevano già estati molto calde e inverni molto freddi. Spesso pioveva, nevicava, c’era il vento. I fulmini e i tuoni esprimevano la collera delle potenze sconosciute che regnavano lassù, al riparo dai mali che opprimevano le misere creature che vivevano lungo i fiumi o in mezzo alle foreste o tra le colline. Quando era bello, la notte, capitava a un bambino o a un vecchio di quarant’anni, sfuggito per miracolo alle malattie, alle bestie feroci, alla guerra contro le tribù nemiche, di contemplare le stelle che brillavano sopra le loro teste rovesciate all’indietro. Una sensazione di terrore e di ammirazione scendeva nei loro cuori. Chi poteva trattenere quelle fiamme scintillanti e piene di vita che sembravano forare la volta notturna, se non degli spiriti esiliati da questa terra o imprigionati da altri spiriti più potenti o forse incaricati di osservare gli umani? Ogni tanto una striscia brillante attraversava il firmamento e seminava l’angoscia sulla Terra abitata. Il ritorno regolare del Sole e le fasi della Luna nutrivano leggende inesauribili e sempre più complicate. A volte, raramente, una volta ogni cento anni o ogni duecento anni, senza che ci fosse alcuna nuvola, il Sole in pieno giorno o la Luna di notte si sottraevano improvvisamente agli sguardi senza nessuna ragione apparente. Il terrore si impadroniva dei più coraggiosi. Folle spaventate promettevano alle divinità del cielo e della terra tutto ciò che potevano desiderare: cibo, ricchezze, gioielli, maschere, il sangue delle creature immolate per la sopravvivenza dell’universo. Qualche centinaio di migliaia di anni fa, gli uomini non possedevano la terra sulla quale erano nati: erano posseduti dagli spiriti da cui dipendeva il loro destino e che abitavano ogni particella dell’universo intorno a loro.

Già allora, e per la prima volta, nelle foreste o nei cespugli, nelle savane, nelle colline, sui bordi del mare o dei grandi fiumi, asiatici o europei, africani da sempre o americani molto più tardi, quei primati sono uomini.

Uomini a pieno titolo. Uomini come voi e me. Vestiti alla moda di oggi, li notereste appena nel metrò o per strada. Non costituiscono delle specie diverse. Sono quel genere umano a cui apparteniamo. Loro e noi – qualunque siano i gruppi designati da questo noi – abbiamo un’ origine comune. Veniamo tutti dalla stessa fonte. Usciamo tutti da uno stesso utero. Siamo tutti degli africani modificati dal tempo.

L’unica differenza che conta è imposta dal sesso: ci sono uomini e ci sono donne, e servono un uomo e una donna perché ci sia un bambino. Per migliaia di millenni, e fino a noi in ogni caso, i due sessi si uniscono perché la storia continui.

La storia si muoveva lentamente. Gli uomini erano giovanissimi: non avevano passato. Avevano solo futuro. Camminavano per andare altrove. In quel tempo, la Terra, così piccola per noi, era ancora immensa. Perché quegli spazi senza fine e tutti fatti di ignoto potessero essere percorsi, c’è voluto del tempo. C’è stato il tempo, e il tempo, e ancora il tempo e sempre il tempo come c’era lo spazio. I primi uomini erano sempre sicuri di trovare cose nuove dietro un orizzonte che non era mai l’ultimo. E il tempo anche si svolgeva senza pietà e senza fine. I millenni si accumulavano: l’immensità del tempo rispondeva all’immensità dello spazio. La Terra era senza confini e i ricordi si cancellavano.

IL SOGNO DEL VECCHIO

Se si credono capaci, tutti loro, e soprattutto lui, di capire qualcosa dello spazio e del tempo, si sbagliano amaramente. E si sbaglieranno sempre.

Il sesso. Sì, certo: con la morte, è una delle chiavi del sistema. Perché l’universo non è nient’altro che un sistema gigantesco in cui tutto è compreso e collegato. C’è il sesso perché c’è la morte, c’è la morte perché c’è il sesso. E una folla inesauribile di altre cose che a forza di tentativi scopriranno poco a poco – ma solamente in parte. Fino alla fine dell’ avventura, fino ai confini del sistema, il senso dell’avventura e il segreto del sistema gli sfuggiranno per sempre.

La magia. Possono sempre prendersene gioco e credersi superiori agli uomini dei tempi antichi. Non è più assurdo credere a delle forze di cui non si sa niente, che non si vedono, che non si sentono, che credere a una ghiandola pineale tra l’anima e il corpo, a un’aria che sarebbe presente dappertutto per spiegare la propagazione delle onde luminose, alla fine della storia prima della fine del tempo, alla regolazione del mercato attraverso una mano invisibile, al gioco di un caso e di una necessità che basterebbero a spiegare l’universo e la vita, o alle creature miracolose

Jean d’Ormesson – Che cosa strana è il mondo – Edizioni Clichy 2015