Comunicare come problema. — – – Eugenio Borgna

 

 

Comunicare come problema.

Eugenio Borgna

Cosa è questa comunicazione, questa parola marmellata, questa parola-valigia, così la definirebbero i linguisti, che entra in gioco in ogni forma di discorso, e in ogni forma di vita, e come tematizzarla nei suoi aspetti essenziali e nelle sue diverse articolazioni semantiche? Come entriamo in comunicazione, come entriamo in relazione, con noi stessi e con gli altri, con la nostra interiorità e con quella degli altri?

[…] Sono tesi che vorrei svolgere in questo mio lavoro dicendo qualcosa sulla natura, sulla dimensione dilemmatica, sulla fenomenologia della comunicazione, della relazione, che ci mette in un dialogo senza fine con la nostra interiorità, con le nostre attese e con le nostre speranze, e con quelle che sono negli altri. Non c’è cura in psichiatria se non quando siamo in comunicazione, in relazione, con la tristezza e l’angoscia, la inquietudine e la disperazione, il dolore del corpo e il dolore dell’anima, di chi sta male e chiede il nostro aiuto. Ma non c’è comunicazione autentica in psichiatria, e non solo in psichiatria, se non quando si abbiano parole capaci di creare un ponte fra la soggettività di chi parla, e quella di chi ascolta, la soggettività di chi cura, e la soggettività di chi è curato; e quando ci siano corrispondenze fra il tempo interiore dell’una e quello dell’altra.

Eugenio Borgna – Parlarsi. La comunicazione perduta – Einaudi

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Diamo per scontato che quando uno di noi parla o scrive l’altro capisca. Ma la parola non è l’unico strumento di comunicazione, anche se è il più potente. La parola non è univoca nel suo significato, è polisemantica, e perciò di per se stessa è ambigua. A volte la si usa anche senza pronunciarla, quando si sta zitti, quando si sta in silenzio, che non vuol dire di non avere niente da dire. Perciò l’altro istintivamente interpreta ciò che sente secondo i suoi codici linguistici e culturali, tanto che in gergo si sente dire :”per me questo è arabo”

Questo tanto più quando comunichiamo con l’altro con cui siamo relazione e comunichiamo emozioni, sentimenti, dolori, stati d’animo, che per loro natura sono così soggettivi e personali che per capirli bisogna fare lo sforzo di mettersi al posto dell’altro.

 

Ed è anche quello che succede e avviene necessariamente nel lavoro di psichiatria e psicoterapia, che è un lavoro di cura e di prendere in cura, di un prendersi cura di una persona sofferente. Grande responsabilità e grande impegno personale si richiede a chi sceglie di fare questo lavoro, che non può essere ridotto ad un sapere fare, ad una fredda metodologia, in cui l’essere dell’altro scompare in quanto persona, è soltanto paziente.

L’altro non è solo un sintomo, è anche altro, è storia, è un essere nel mondo, è relazione, prima di tutto nella sua famiglia. Questo altro che si manifesta con il suo sintomo, che comunica con il suo sintomo.

Il sintomo ha il suo linguaggio oscuro che va decodificato, creando così “un ponte fra la soggettività di chi cura e la soggettività di chi è curato”. Si crea pertanto fra paziente e terapeuta necessariamente una relazione: la relazione terapeutica. “Parlare di relazione terapeutica vuol dire innanzitutto parlare di etica. Di rispetto profondissimo verso i pazienti, la loro visione del mondo, la loro dimensione «politica» e riconoscere l’unicità ed irripetibilità di ogni paziente”[1]

E creare ponti fra terapeuta e paziente non è facile, richiede conoscenza reciproca, richiede un tempo, perché il paziente si rivela liberamente con il suo tempo, quando abbandona gradualmente le sue difese e solo se percepisce che il terapeuta possiede il tempo dell’attesa.  Solo allora quando e se ci saranno fra le due soggettività “le corrispondenze fra il tempo interiore dell’una e quello dell’altra

Perché anche gli psicoterapeuti in questo mondo produttivistico assorbono il mito del fare veloce, del risultato quasi immediato, perché questa è la richiesta dei pazienti: quanto tempo ci vuole.   A cui io umilmente rispondo: Non lo so.

Ma chi apre la porta del segreto sono sempre le chiavi del paziente che ha fiducia nel terapeuta.

 

 

[1] Malagoli Togliatti, Angrisani, Barone La psicoterapia con la coppia, -Franco Angeli