Da Carla a vendemmiare il Nebbiolo Michele Serra

Da Carla, a vendemmiare il Nebbiolo, eravamo in sette meno due. Cinque adulti, tutti sopra i cinquant’anni. Più tu e tuo cugino Pedro: i meno due. […]

Noi adulti eravamo già in piedi con il caffè in mano, tutti e cinque a guardare la giornata che ci stregava con la sua luce nascente. Svegliarsi così presto non era indispensabile, per vendemmiare mezzo ettaro di vigna non ci vuole troppo tempo. Ma a tirarci giù dal letto era stata la contagiosa attesa di quel giorno speciale, che è rituale e comunitario da secoli, e lega le persone tra loro, alla terra e allo scorrere delle stagioni. E aprendo gli scuri, chi prima chi dopo, vedendo le stelle sfumare e un radioso sereno svelarsi, ci aveva preso l’euforia, e da una stanza all’altra ci si dava voce che era ora di cominciare.

Venendo in macchina, il pomeriggio prima, avevo cercato di spiegarvelo, a te e a Pedro, che il giorno della vendemmia non è un giorno come gli altri, e andare a farla in Langa è un privilegio vero, come sentire il Rigoletto in loggione al Regio di Parma, o mangiare frutti di mare in Bretagna, o comprare un cappello da donna a Parigi, o vedere la prima di un musical a Broadway. Un vero cogliere il succo. Uscendo dall’autostrada e prendendo quota tra i noccioleti  e le vigne, sbirciavo nel retrovisore per capire se voi due, seduti dietro, foste colpiti dal mutamento del paesaggio, e interessati a come gli uomini avevano regolato le cose, da quelle parti. Ma avevate gli occhi, ciascuno dei due, ficcati dentro il proprio video, credo per chattare con altri della vostra genia, e quanto scorreva fuori dai finestrini, fosse anche la Grande Muraglia, il deserto rosso di Marte, un assalto di cavalleggeri, vi era del tutto indifferente. Né – mi rendo conto – la lezioncina dell’adulto di turno, per quanto schermata da qualche battuta per sembrare il meno ufficiale possibile, avrebbe potuto scalfire il vostro autismo.

La sera della vigilia mi aveva dato qualche illusione. La tavola, da Carla e Gildo, è calda e generosa, e per un buon tratto della cena mi era sembrato che tu e tuo cugino foste coinvolti, parte della comunità. Arrivati alla crostata di sambuco e al Barolo chinato, al termine di una memorabile sequenza di rossi, eravate già spariti in qualche stanza ad armeggiare con le vostre ricetrasmittenti di decima o undicesima generazione, le tavolette tascabili che legano ovunque e sempre ognuno a tutti gli altri e dunque sostanzialmente a se stesso (non essendo “tutti gli altri” concepibili e maneggiabili come se davvero esistessero). Però mi era parso che la straordinaria permanenza a tavola – quasi due ore contro i tre minuti ordinari – fosse, da parte vostra, non solo un segno di gradimento del convivio, ma anche di affiliazione al gruppo. Cioè: eravate venuti anche voi due – incredibile ma vero – a fare la stessa cosa che facevamo noi adulti, vendemmiare.

Adesso capisco che il grande equivoco era pensare che il risveglio precoce, e il ritmo della giornata seguente, fossero “nelle cose”. Queste “cose” sono evidenti a chi le vive fortemente, nella realtà ha messo radici, dalla realtà trae ragione per vivere. Quasi tutte le cose, per me, per Carla e Gildo, per gli altri due amici venuti a vendemmiare, sono “nelle cose”.

Ma per voi?

Chi ha detto che l’ordine dei piaceri e dei doveri debba essere uguale per tutti, e per sempre? Chi l’ha stabilito? A me pare che la bellezza della vendemmia, e tanti, tanti altri generi di bellezza, siano oggettivi. Strappati alla fame, agli stenti e alla morte, messi a punto nelle migliaia di anni e nelle centinaia di generazioni. I mestieri, le tecniche, le conoscenze accumulate e trasmesse. Quel luogo del mondo. Quel giorno dell’anno. Quel ritmo, quelle gerarchie dei gesti. Quelle persone; ma che sono lì anche in memoria delle migliaia di altre persone che le hanno precedute tra quei filari, sopra quella terra.

Ma tu e Pedro attingete da altre fonti le vostre emozioni. Non so se per ora o per sempre, se nei vostri diciotto anni o per la vita, ma così è. E certo, qualcosa di altrettanto separato (separato dagli adulti) lo ricordo bene anche nei miei sedici e diciotto anni. Ma non altrettanto. Decisamente: non altrettanto. Scrutavo il mondo adulto come un regno da espugnare. Emularli per poi detronizzarli, un giorno: ma il trono da espugnare era lo stesso sul quale sedevano loro. Le stesse città, le stesse case, le stesse stanze, gli stessi viaggi da ripercorrere però meglio di loro, con più agio e padronanza, più libertà, meno pregiudizi. La mia curiosità onnivora mi suggeriva di aguzzare la vista e allertare i sensi in ciascuna delle occasioni nelle quali sentivo che gli adulti erano in speciale tensione, per il timore di perdere un’esperienza. Se li sentivo dire “bellissimo!” cercavo di cogliere e di cogliere in fretta, o per rifiutare o per assumere, per fare mio o per lasciare a loro. La paura era di mancare l’occasione, di perdere il biglietto d’ingresso.

Certo non mi convincevano facilmente. Non lasciarmi sedurre era ragione di orgoglio. Volevo decidere io che cosa davvero sarebbe stato “bellissimo”, per me e per la mia vita. Ma dalla vita degli adulti – e ben più che dalle loro parole da come vivevano, cosa facevano, che odore avevano i loro vestiti, i loro mobili, le loro case – mi lasciavo penetrare ogni giorno, perché provarne disgusto o attrazione era ciò che mi formava, mi svelava a me stesso. Non ero né più docile né più sensibile né più intelligente di te. Ma appartenevo a un’epoca -l’ultima? -nella quale il conflitto tra Giovani e Vecchi avveniva sul medesimo campo di battaglia. Ora ho il sentore -il sospetto? il terrore? – di una mutazione così radicale che difficilmente, un giorno, potremo riconoscerci, tu e io, nello stesso piacere. Non so cosa darei per potermi sedere con te, in un momento qualunque della nostra vita, davanti allo stesso paesaggio, e condividerne in silenzio la forma e l’ordine.

So che non hai la stessa ansia. Non è con me, ovviamente, che vuoi condividere il paesaggio. Quasi ogni genitore, credo, ha sofferto la difficoltà di condividere con i figli qualcosa di meno ovvio del mantenimento economico, della protezione adulta. Ma tornerai mai per tuo conto, nella tua vita, con una donna, un amico, qualcuno, in Langa a fine settembre? Voglio dire: nascosto dietro il tuo muro, e guardandoti bene dal farmelo capire, tu cogli almeno qualcosa, della mia vita? Ma poi: come farti capire che non è la mia vita, ma è la vita degli uomini quella della quale io sono un così impacciato testimone?

Michele Serra, Gli sdraiati Feltrinelli

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è 2014-04-P--960x864.jpg
Commento

E’ sempre la stessa medaglia, ma vista da facce diverse, stessa realtà osservata da punti di vista diversi: la differenza generazionale in un mondo cambiato! Non solo cambiato, ma con il sospetto invece di una mutazione radicale della generazione sociale

Cambiato, perchè sono cambiati i punti di riferimento, l’orientamento delle stelle per i naviganti di notte. La differenza e lo scontro fra generazioni ci sono sempre stati come condizione di normalità, ma si attivavano nello stesso campo comune, era una lotta, aperta o oscura, per l’affermazione di sè, per la crescita generazionale. Freud poi ne fece il nucleo interpretativo dello sviluppo evolutivo individuale, ma anche della psicopatologia evolutiva.

Ma le “cose” stanno ancora così? La crescita individuale passa ancora attraverso le figure genitoriali e adulte con cui si entra in competizione o con cui ci si identifica? I contendenti, nonostante tutto, parlano ancora la stessa lingua per stabilire le regole del gioco? Sembrerebbe di no. Il giovane Michele Serra, come quasi tutti noi, era attento e curioso per impossessarsi o rifiutare le abilità degli adulti, per potersi sentire alla pari in un mondo in cui potessimo dire finalmente la nostra. La battaglia o l’alleanza fra adulti e giovani avveniva sempre sullo stesso campo da generazioni secolari. Crescere significava anche condividere e riconoscere i sani rituali sociali e familiari “che legano le persone tra loro, alla terra e allo scorrere delle stagioni”. Rituali che fondano l’umanità, che danno il senso al passare del tempo e al succedersi delle generazioni. Rituali familiari e sociali che svaniscono, si perdono, e se rimangono, ridotti a comportamenti e manifestazioni ripetitive, finalizzate ad altri scopi e ad altri interessi. Un esempio per tutti, l’approssimarsi del Natale con la mistificazione falsamente allegra e godereccia. Se i rituali si dimenticano, gradualmente si indeboliscono anche i legami familiari, i legami vitali con cui sono intessute le storie familiari, perchè “le matrici inveranti la persona non possono che essere nella tramatura dell’intergenerazionale, nel bonum che si tramanda, nella memoria che riorganizza il passato, dà senso al presente, permette comunque una progettualità che generi oggetti non codificati[1].

Ora sembra che tutto questo non ci sia più. Forse perchè non ci sono più “padri” in un mondo che cambia, ma anche non più “madri”, ma genitori che fanno la gara ad essere più simili ai loro figli adolescenti, “amici” dei loro figli, quasi a voler annullare la naturale e necessaria differenza generazionale.

Infine la stessa domanda che  probabilmente ogni genitore si fa in cuor suo, oggi più di ieri, pensando: “nascosto dietro il tuo muro, e guardandoti bene dal farmelo capire, tu cogli almeno qualcosa, della mia vita? Del chi sono io?, che sai della mia storia? Come sono diventato quello che sono? E capire, o almeno intuire, perché è così importante il giorno della vendemmia per me, “che il giorno della vendemmia non è un giorno come gli altri, e andare a farla in Langa è un privilegio vero”, che c’è un giorno, o almeno ci dovrebbe essere, in ognuno di noi, che dia senso alla nostra vita? Ci sarà anche per te un giorno della vendemmia o della salita al Colle di Nasca che segni uno spartiacque fra un prima e un dopo?

[1] Corrado Pontalti La nostalgia dei legami e il vuoto esistenziale: fenomenologie depressive nella civiltà ipermoderna –  Terapia familiare n. 94 novembre 2010

 

 

E’ sempre la stessa medaglia, ma vista da facce diverse, stessa realtà osservata da punti di vista diversi: la differenza generazionale in un mondo cambiato! Non solo cambiato, ma con il sospetto invece di una mutazione radicale della generazione sociale

Cambiato, perchè sono cambiati i punti di riferimento, l’orientamento delle stelle per i naviganti di notte. La differenza e lo scontro fra generazioni ci sono sempre stati come condizione di normalità, ma si attivavano nello stesso campo comune, era una lotta, aperta o oscura, per l’affermazione di sè, per la crescita generazionale. Freud poi ne fece il nucleo interpretativo dello sviluppo evolutivo individuale, ma anche della psicopatologia evolutiva.

Ma le “cose” stanno ancora così? La crescita individuale passa ancora attraverso le figure genitoriali e adulte con cui si entra in competizione o con cui ci si identifica? I contendenti, nonostante tutto, parlano ancora la stessa lingua per stabilire le regole del gioco? Sembrerebbe di no. Il giovane Michele Serra, come quasi tutti noi, era attento e curioso per impossessarsi o rifiutare le abilità degli adulti, per potersi sentire alla pari in un mondo in cui potessimo dire finalmente la nostra. La battaglia o l’alleanza fra adulti e giovani avveniva sempre sullo stesso campo da generazioni secolari. Crescere significava anche condividere e riconoscere i sani rituali sociali e familiari “che legano le persone tra loro, alla terra e allo scorrere delle stagioni”. Rituali che fondano l’umanità, che danno il senso al passare del tempo e al succedersi delle generazioni. Rituali familiari e sociali che svaniscono, si perdono, e se rimangono, ridotti a comportamenti e manifestazioni ripetitive, finalizzate ad altri scopi e ad altri interessi. Un esempio per tutti, l’approssimarsi del Natale con la mistificazione falsamente allegra e godereccia. Se i rituali si dimenticano, gradualmente si indeboliscono anche i legami familiari, i legami vitali con cui sono intessute le storie familiari.

Ora sembra che tutto questo non ci sia più. Forse perchè non ci sono più “padri” in un mondo che cambia, ma anche non più “madri”, ma genitori che fanno la gara ad essere più simili ai loro figli adolescenti, “amici” dei loro figli, quasi a voler annullare la naturale e necessaria differenza generazionale.

Infine la stessa domanda che  probabilmente ogni genitore si fa in cuor suo, oggi più di ieri, pensando: “nascosto dietro il tuo muro, e guardandoti bene dal farmelo capire, tu cogli almeno qualcosa, della mia vita? Del chi sono io?, che sai della mia storia? Come sono diventato quello che sono? E capire, o almeno intuire, perché è così importante il giorno della vendemmia per me, “che il giorno della vendemmia non è un giorno come gli altri, e andare a farla in Langa è un privilegio vero”, che c’è un giorno, o almeno ci dovrebbe essere, in ognuno di noi, che dia senso alla nostra vita? Ci sarà anche per te un giorno della vendemmia o della salita al Colle di Nasca che segni uno spartiacque fra un prima e un dopo?