Della morte, in senso proprio, nulla è possibile dire – Gabriella Caramore

Della morte, in senso proprio, nulla è possibile dire

Gabriella Caramore

 

“Ma della morte, in senso proprio, nulla è possibile dire. Nessuno ne può raccontare l’esperienza. Per questo non abbiamo altro che parole approssimative. Per questo non abbiamo altro che «rappresentazioni».

È come se la mente girasse intorno a quel nucleo senza riuscire ad afferrarlo, come se avesse bisogno di provare a spingere l’immaginazione fino al limite del possibile. E anche oltre…

Per la verità, anche dal punto di vista fisiologico definire che cosa sia «morte» è diventato problematico. Oggi non basta più, come per Gilgamesh, o come forse fino a un secolo fa, chinarsi sul cuore di qualcuno e stabilire che con la cessazione del battito è cessata anche la vita. Anche la morte delle cellule cerebrali sancisce la fine di una vita. Ma neppure in questo caso si tratta di un limite netto. Alcune funzioni cerebrali continuano a mandare segnali anche dopo che è stato decretato il decesso. Per quanto tempo? Nessuno sa dirlo con precisione. Ma certo è anche per questo che occorrerebbe stare a lungo vicino al corpo che non dà più nessun segnale di vita, perché è possibile che qualcosa ancora avverta della nostra presenza o della nostra assenza. Erano molto sapienti, e non solo bigotte o superficialmente devote, le pratiche dei rituali funebri di un tempo, che prevedevano lunghe soste accanto al corpo inerte, e lacrime, e preghiere, e condoglianze. Se poi fossero autentiche, o partecipate solo in parte, o di facciata, questo non invalida la sensatezza della consuetudine. In ogni caso, anche se il defunto non ne avesse cognizione alcuna, queste pratiche potrebbero far bene a chi resta.

Tra l’altro che questo confine sia labile e ancora sconosciuto lo testimoniano ricerche recenti, secondo cui, in alcuni rari casi di coma profondo, si è riscontrata una attività fluttuante di quella che è stata chiamata «coscienza nascosta»: senza dare segnali visibili, alcune cellule registrano una qualche consapevolezza di quanto accade al paziente. Questo potrebbe cambiare non solo le convinzioni sulla possibilità di «risveglio», ma anche la stessa cognizione di «coscienza umana»”.

Gabriella Caramore, L’età grande, Grazanti

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Commento

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