Di quale nuova catena tu e Pia siete l’anello? Michele Serra

Di quale nuova catena tu e Pia siete l’anello?

Michele Serra

“Ma perché l’uomo, da qualche tempo, sperimenta la sua incapacità di stabilire nessi (di qualunque genere) con i ragazzi come Pia, e come te. Non sa – non capisce – se questo muro invisibile sia la semplice riedizione dell’eterno conflitto tra genitori e figli, tra adulti e ragazzi. Oppure se qualcosa di inedito, di sconosciuto, di mutageno (non necessariamente qualcosa di brutto. Dico qualcosa di irreparabilmente diverso) stia separando per sempre i pensieri e gli atti delle ultime leve dell’umanità – voi – da tutto ciò che li ha preceduti.

Delle due ipotesi, naturalmente, la prima è molto più confortante. È un nodo che si scioglie da solo, con il procedere delle generazioni, mano a mano che Pia cresce e invecchia e si ritrova a generare nuove Pie e dunque nuove distanze, nuove incomprensioni. Siamo all’iterazione del già noto e del già accaduto.

E se invece fosse vera la seconda ipotesi? Se cioè un qualche radicale cambiamento nell’assetto neuronale avesse prodotto non un normale avvicendarsi di culture e di mode e di pensieri, ma una separazione definitiva tra il passato e il futuro degli umani?

Guardo i miei vasi di portulache, affacciati sul mare e schiaffeggiati dal vento e dalle gocce ormai fitte. Il più futile dei pensieri – chi curerà questa terrazza quando non ci sarò più? – è anche il più lacerante. Mia nonna, poi mio padre curarono questi vasi. La cura del mondo è un’abitudine che si eredita. A dieci anni riempivo l’annaffiatoio per mio padre, e la facilità con la quale lui maneggiava con una sola mano quei dieci litri d’acqua che io gli porgevo con fatica e impaccio mi pareva il traguardo della mia infanzia. Ora che maneggio con la stessa destrezza quei dieci litri, e sono dunque adulto, mi rendo conto che nessuno mi porge l’annaffiatoio. Una catena è spezzata – ne sono l’ultimo anello. Non c’è dubbio. Sono l’ultimo anello.

Di quale nuova catena tu e Pia siete l’anello?”

Gli sdraiati, Michele Serra – Feltrinelli

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Giuseppe Basile

Quello che è vero è che forse la generazione precedente avrà avuto meno patemi nel definirsi genitori. Si viveva in una società più statica, meno stratificata, meno convulsa di quanto non è successo negli ultimi 60 anni, per stare alla mia esperienza infantile e giovanile. Allora si viveva in strada, si giocava con gli altri sempre all’aperto, andavo alla scuola materna a piedi da solo, non c’erano macchine, o rare, che circolavano per le strade, c’era un maggiore controllo e maggiore condivisione sociale, per cui un bambino poteva muoversi sotto lo sguardo di tutti.

Il cambiamento radicale, che ho vissuto e avvertito in modo memorabile, è stato agli inizi degli anni ’60, gli anni del boom economico, sociale, culturale, mentale e familiare. Bisogna averla vissuto quell’età per poter capire la difficoltà oggi di fare il mestiere di genitori. I ruoli genitoriali cominciano ad essere sempre più sbiaditi ed evanescenti, la crisi del sistema famiglia, la crisi della coppia, le separazioni familiari, i figli che vivono in doppie e triple case, tutto questo è il segno di un cambiamento radicale del vivere oggi, dell’essere figli e dell’essere genitori. Da qui la verità che l’infanzia è rimasta mitica sia per i figli che per i genitori come il tempo in cui si era vicini perché, a parte le eccezioni, ci si riconosceva in un legame rassicurante, bastavano “le capacità istintive”. Il problema si è posto, come riconosce Michele Serra, quando i figli hanno cominciato a vivere pienamente la loro adolescenza e forse precocemente in modo adulto e con altre bussole di navigazione. Allora noi genitori abbiamo cominciato a balbettare su come relazionarci con questi figli diventati diversi. Ad interrogarci sulla nostra e sulla loro identità!

Comunque spaventa l’ipotesi che fa Michele Serra, che la catena della trasmissione generazionale come la conosciamo e l’abbiamo vissuta noi nella sua linearità si sia spezzata, e che quindi i nostri nipoti stanno crescendo in una dimensione culturale, sociale e mentale non solo diversa, ma altra, sconosciuta, dominata dalla tirannia della tecnologia informatica esasperata.

C’è speranza che i nostri nipoti si prendano cura dei nostri vasi di portulache?