Con il tempo e con l’esperienza mi
sono convinto che la psicoterapia è fondamentalmente una ricerca fatta con
un’arte appresa sul campo con il contributo e l’azione delle persone portatrici
di un disagio e di un malessere. Sono, prima di tutto, loro che si mettono alla
ricerca delle cause del loro star male e poi, quando non ce la fanno,
saggiamente chiedono aiuto.
La mia filosofia terapeutica, quando incontro una persona che mi chiede aiuto,
è quella di mettermi al suo fianco per cercare assieme la causa del suo dolore.
Non ho mai fatto diagnosi prima di iniziare una terapia, perchè sono convinto
che una diagnosi limita, inquadra, cataloga, crea un pre-giudizio e perciò
falsa l’incontro autentico e libero.
Alla richiesta iniziale esplicita dell’Altro se potrà “guarire”, confesso apertamente e umilmente di non sapere se sarò in grado di aiutarlo, perchè l’Altro è sempre uno sconosciuto a me e a se stesso, a cui non si possono applicare ricette salvifiche precostituite e pronte all’uso. Piuttosto mi definisco un compagno di viaggio che accetta di fare un cammino esplorativo alla ricerca dell’origine del dolore specifico portato, del dolore che sopravviene inaspettatamente, del dolore nascosto fra le pieghe dei risvolti della storia esistenziale. Ognuno con la sua competenza, con impegno, passione e responsabilità. “Anche nella mente di chi sta male c’è sempre un angolino di lucidità con cui si può entrare in contatto” (Freud), quella parte di sé positiva con cui ci si allea e ci si accompagna, riconoscendola come risorsa per il cambiamento.
Bisogna essere almeno in due a
fare questo viaggio, meglio ancora se c’è qualche altro compagno, testimone
affidabile della storia dell’altro. Per questo la terapia è unica, come unica è
la persona e come è unica la relazione interpersonale. Non possono esserci
assimilazioni, generalizzazioni e trasferimenti di esperienze da una persona
all’altra. Per questa unicità preferisco definire la psicoterapia un’arte[1], un modo
di operare con uno “stile” personale, che non fa più affidamento alle
tecniche apprese, ai manuali rassicuranti, ai modelli teorici, ma
all’esperienza accumulata, alla capacità personale di mettersi in gioco, che
perciò mi fa dire che ogni volta è sempre un’altra volta.
[1] “Per questo motivo ogni terapia è diversa da un’altra, poiché ogni terapeuta è diverso da un altro, e il paziente imparerà le personali strategie adattive che il suo terapeuta è stato capace di mettere in atto. Forse è anche questo processo quello a cui ci si riferisce quando si parla di “arte” della psicoanalisi.” P. Migone La identificazione proiettiva Il Ruolo Terapeutico, 1988, 49: 13-21