“Il settimo sigillo” Eugenio Borgna

Sulle emozioni, che il morire genera in chi sta morendo e nei suoi familiari, ha scritto cose indimenticabili il grande sociologo tedesco Norbert Elias[1], che, nel libro La solitudine del morente, si confronta con gli aspetti psicologici e umani del morire, con le sue angosce e i suoi tormenti, con le sue lacerazioni e la sua disperazione, con la sua nostalgia di comunione e di silenzio. Da questo libro vorrei stralciare alcune parole limpide e profonde. “Oggigiorno gli uomini che sono a contatto con i moribondi non sono più in grado di confortarli con la manifestazione del loro affetto e della loro tenerezza. Fanno fatica a stringere o accarezzare la mano di una persona che muore, perché capisca che né devozione né protezione sono venute meno. L’esagerato tabù dettato dalla civilizzazione contro l’espressione di sentimenti intensi e spontanei spesso paralizza la lingua e la mano di queste persone. E anche possibile che i vivi considerino il morire e la morte come contagio e dunque pericolo, e quindi involontariamente si ritraggano. Ma come accade in ogni commiato da persone care, un gesto di immutato affetto è forse il conforto più grande, indipendentemente dal sollievo del dolore fisico, che coloro che restano possono dare a coloro che muoiono.” Certo, quando la morte si avvicina, come non ricordare su questo tema Il settimo sigillo, uno dei film più sconvolgenti di Ingmar Bergman?, e anche quando la malattia avanza inesorabile, lacerando ogni nostra risorsa interiore, e ogni nostra risorsa corporea, come non pensare allo stremato bisogno di relazioni umane che per un attimo infrangano la dilagante solitudine?

Le bellissime considerazioni di Norbert Elias indicano il sentiero che dovremmo seguire nel momento in cui una persona muore, e noi le siamo vicini, ma vorrei chiedermi se le parole possano essere di un qualche aiuto a chi si muova ai confini della vita. Le parole, anche quelle più delicate e discrete, si fanno fragili e impalpabili, come scritte sulla sabbia, quando sono rivolte ad una vita che muore; e allora un gesto, il gesto di fare una carezza ad un volto, o di stringere una mano, a chi si allontana dalla vita, è la sola cosa che possa essere di aiuto nel silenzio delle parole, e nella luce delle lacrime.

Eugenio Borgna, Il fiume della vita Feltrinelli pag. 166-167

[1] Norbert Elias, La solitudine del morente

 

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