Il trauma positivo della scuola di Massimo Recalcati

 

Il trauma positivo della scuola

di Massimo Recalcati

La Scuola in quanto Scuola dell’obbligo — frutto di una Legge solo severa — uccide fatalmente l’istanza del desiderio. La psicoanalisi stessa mostra nella sua clinica come l’insistenza imperativa della domanda che viene dall’Altro («Studia!», «studia!») generi solo resistenza, rifiuto, opposizione, anoressia mentale. Affinché possa esistere il desiderio è necessario uno spazio che separi il soggetto dalla domanda dell’Altro. Quando questo spazio manca, il soggetto può reagire difendendo il proprio desiderio minacciato dall’invasività dell’Altro, come accade, per esempio, nell’anoressia. Se l’Altro insiste a offrirmi solo la sua «pappa asfissiante» («Mangia!», «mangia!»), mi rifiuto di mangiarla affinché egli riconosca che non sono solo un tubo digerente ma un soggetto del desiderio.

Lo stesso ragionamento vale anche per molti problemi dell’apprendimento. Come si può infatti, obbligare al desiderio? Non è una contraddizione in termini? Il desiderio non rigetta forse ogni senso dell’obbligo, non ne è forse l’acerrimo antagonista? È questo il paradosso della Scuola – il carattere decisivo della sua funzione -che si situa proprio in questo delicatissimo punto di snodo: Come si può fare sorgere il desiderio – il desiderio di sapere – quando l’apprendimento del sapere deve essere obbligatorio? Come non rendere l’obbligatorietà un parassita mortale del sapere? Come, in ultima istanza, intrecciare il desiderio alla Legge?

Considerare l’obbligo della scolarizzazione come un intruppamento disciplinare è un errore ideologico che vorrebbe risparmiare alla vita l’impatto inevitabile con il trauma della Legge. L’obbligo della scolarizzazione, che non deve essere confuso con l’azione repressivo-disciplinare della Scuola, impone invece un trauma benefico e necessario. Obbligare alla Scuola non autorizza a concepire l’educazione come un raddrizzamento autoritario delle viti storte. Sappiamo tutti che sono proprio le storture, le anomalie, le deviazioni dal solco già tracciato della normalità a esprimere solitamente i talenti più generativi dei nostri giovani. […]

Massimo Recanati, L’ora dilezione  Einaudi

 

Nel leggere questa pagina di Massimo Recalcati immediatamente mi è venuta in mente il ricordo di quasi 60 anni fa, quando frequentavo il corso di laurea in Filosofia all’Università Cattolica di Milano. Mi sono rivisto confuso e perplesso nell’aula semivuota di lezione di Letteratura italiana, cattedra allora tenuta da un valente e famoso critico letterario, il prof. Mario Apollonio. La mia perplessità e la mia meraviglia era dovuta al fatto che il contenuto della “materia” si riduceva alla conoscenza di uno sconosciuto e minore letterato di qualche secolo fa, che lui cercava di far conoscere con pazienza e modestia nelle sue ore di lezione poco affollate. Il tutto condensato in alcune sparute pagine ciclostilate fornite da lui ad uno sparuto gruppo di studenti. L’esame finale prevedeva inoltre solo la conoscenza della Divina Commedia, che allora, in buona parte, la si conosceva già dagli anni del liceo classico. Tutto qua. Allora e ancora anni dopo mi sono sempre chiesto perché mai un famoso accademico si accontentasse di così poco nella pretesa conoscenza letteraria degli studenti e conseguentemente di valorizzare così poco il suo corso, rispetto ad altri corsi, obbligati a studiare un considerevole volume di testi.

Col tempo e solo nel tempo recente mi sono dato una risposta. e del perché, a distanza di anni, ancora io mi ricordi di quell’esame e di quell’umile professore, che mi aveva colpito solo per la “differenza”, rispetto alle altre “materie” e agli altri professori che pretendevano conoscenza alla perfezione di diversi volumi corposi e alcuni scritti da loro stessi. La risposta è stata illuminante e mi è servita come bussola quando ho cominciato ad insegnare. Il mio vecchio professore, al di là dei contenuti, della quantità, dell’obbligatorietà, cercava soprattutto di suscitare il desiderio di conoscere, di sapere, di imparare a fare ricerca storica e letteraria partendo dal testo, perchè senza desiderio c’è solo erudizione, mnemonica, passività, adesione all’Altro per dovere e non per passione. Aveva capito che è necessario accendere scintille per accendere un fuoco, senza pretese di buttare nel fuoco troppa legna e troppo carbone che soffocherebbero la piccola fiamma. Aveva capito che se fosse stato capace di accendere il desiderio nel cuore dello studente, poi si sarebbe autoalimentato nel tempo.

Allora non sapevo tutto questo, ma inconsciamente ho cominciato così a fare l’insegnante, fedele al mio professore Apollonio, appassionandomi sempre più all’insegnamento e alle relazioni con gli alunni.

Di recente ne ho avuto una conferma del mio buon fare, ricevendo alcuni mesi fa un inaspettato messaggio che mi ha commosso:

Caro prof. Basile, qualche anno fa scrissi un post dove parlavo di Lei, molti tra i miei piú cari amici mi scrissero che avrei dovuto farle sapere quanto le sue ore di lezione al Fontana avessero avuto un ruolo fondamentale nel mio futuro, anche se all’epoca non mi diplomai a Rovereto. Volevo solo farglielo leggere senza nessuna pretesa che si ricordi di me sono passati piú di 30 anni.

Non ho mai dimenticato la passione di quell’unico adulto con il quale discutevo sempre, contestando tutto, l’unico con il quale potessi parlare in classe quelle poche ore, ma andava bene anche così.

Anni fa provai a rintracciare la sua email ma poi cambiai idea e non le scrissi. Ho sempre paura di disturbare. Mi sono ritirata nell’88/89.

“Qui (a New York, dove ora vive e insegna Biostatistician presso Icahn School of Medicine at Mount Sinai) per poter effettuare operazioni in banca tramite telefono bisogna rispondere ad una domanda a scelta e la domanda che ho scelto è quella che ha solo una risposta giusta.  La mia è: “chi è il tuo insegnante preferito?”

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