Il viaggio al Colle della Nasca: il desiderio, l’insistenza, la speranza, l’ostinazione

Il viaggio al Colle della Nasca:

il desiderio, l’insistenza, la speranza, l’ostinazione 1

Michele serra

[…] Dovresti venire con me al Colle della  Nasca. Tu non hai idea di come ti piacerebbe. Tu non hai idea di quanto ti farebbe bene. Sono sei ore di cammino: non troppe, non poche. Si dorme nel piccolo albergo sul torrente, ci si sveglia alle cinque, si beve il caffè, si prepara lo zaino. Si sale, si sale, si sale lungo il sentiero che rimonta il bosco di larici. La prima luce del giorno fatica a filtrare tra i rami fitti e basta appena per vedere dove si mettono i piedi. Si suda e si tace. Il fiato si impenna, si fa irregolare, poi piano piano ritrova misura. Si arriva al lago, ci si ferma a fare colazione al primo sole del mattino. Poi ancora si sale, si sale, si sale sopra i duemila, nella pietraia interminabile, tra le marmotte che fischiano e scappano. Ancora si suda e si tace. Si arriva in cresta, se ne segue il dorso che è un rosario di saliscendi, davanti alla vetta del Corno Basso si devia sulla destra. Si deve rimanere alti sul vallone, facendo bene attenzione a non perdere quota. Si guadagna, sudando e tacendo, il versante opposto del monte, si imbocca una seconda cresta che sale fino a una stretta forca tra due cime aguzze di ardesia. Quello è il Colle della Nasca. Duemilasettecentometri. Ci sono solo: ardesia e cielo. È il posto più bello del mondo. La prima volta che ci sono salito avevo undici anni. Mi ci ha portato mio padre. (pag.25)

… Quando ti vedo così pallido, penso che ti farebbe molto bene venire con me al Colle della Nasca. So che non ti piace camminare, ma guarda che è solo un pregiudizio. Camminare è una guarigione. Un’esperienza di salvezza. Mi devi credere.(pag 33)

… Se non vieni con me al Colle della Nasca non fai un dispetto a me. Lo fai a te stesso.

Dai, vieni con me al Colle della Nasca. Partiamo venerdì mattina e sabato sera sei di nuovo a casa per uscire con i tuoi amici. Te lo chiedo per piacere. Non farlo per me. Fallo per te. (pag 41)

… Se vieni con me al Colle della Nasca, ti pago. Un tanto al chilometro, o un tanto per ogni ora di cammino, ci mettiamo d’accordo, non è quello il problema. Quanti soldi vorresti, euro più euro meno, per venire con me al Colle della Nasca? Contanti? Un assegno? Un bonifico? (pag 49)

… È stata finalmente decifrata l’antichissima Stele di Rutta, rinvenuta tra le pietre e i licheni della remotissima Valle di Haux. Risale a settemila anni fa. Contiene una profezia. Dice testualmente: “Tra settemila anni l’umanità sarà dannata e rischierà di scomparire tutta intera, uomini, donne, bambini. A meno che un giovane eroe e il suo vecchio padre salgano insieme sul Colle della Nasca”. (pag 57)

… Di’ la verità: tu muori dalla voglia di venire con me al Colle della Nasca. Ma pur di non darmi questa soddisfazione, ti ostini a fingere di non averne alcuna voglia. (pag 69)

… Se non vieni con me al Colle della Nasca sento che potrei morire di crepacuore. (pag 83)

… Se non vieni con me al Colle della Nasca, ti rompo la schiena a bastonate. (Pag 91)

… Ti ho preso un appuntamento dal famoso ipnotizzatore Tarik Agagianian. Credo che sotto ipnosi tu potresti agevolmente salire insieme a me fino al Colle della Nasca. (95)

Michele Serra, Gli sdraiati – Feltrinelli 

1 antologia di pagine e titolo miei

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 Giuseppe Basile

Perché mai il desiderio, l’insistenza del padre nel voler fare a tutti i costi con il figlio la scalata al Colle della Nasca? Con un “figlio sdraiato”, sordo ai richiami, indifferente alle seduzioni, con una visione del mondo ormai inconciliabile alla sua? Perché tanta ostinazione con la sua richiesta di essere accompagnato dal figlio al Colle della Nasca?

Perchè? Quale senso poteva avere, quale verità segreta poteva nascondere e svelare questo viaggio? Quasi fosse un mito, un viaggio salvifico. “Camminare è una guarigione. Un’esperienza di salvezza. Mi devi credere”. Il padre ci crede in questo valore terapeutico del viaggio, non solo per il figlio, ma anche per se stesso. E’ una scalata mitica, che va fatta assieme, padre e figlio, e non con un qualsiasi compagno di viaggio, per dare i suoi frutti. Così come era stato per lui nella sua esperienza infantile, “La prima volta che ci sono salito avevo undici anni. Mi ci ha portato mio padre”.

Forse per recuperare, con una sorta di pellegrinaggio al Colle della Nasca, il filo del legame generazionale interrotto?

Certo, così sembra. E’ un bisogno del padre, ma perchè l’insistenza, la preghiera, l’ostinazione? E perché non arrendersi alla rassegnazione della impossibilità di questo rito di iniziazione? E di quale bisogno si tratta?

Mi sembra che sia proprio il bisogno di ricucire il legame relazionale, di rafforzarlo, forse scoprirlo. Nella mente del padre è un viaggio iniziatico, la prova che in un tempo di legami deboli, evanescenti, sfumati il pericolo è quello di smarrire il bisogno di appoggiarsi ad una presenza forte e significativa che dà senso e valore alla catena generazionale nell’incerto viaggio esistenziale.

Il primo ad accorgersi di questo debole legame generazionale e sociale è lui, il padre, che confessa le sue fragilità, le sue incapacità come genitore, né tanto meno invidia quei genitori che hanno certezze e sicure regole educative. Anche se qualche isolata certezza psicologica ce l’ha anche lui. Almeno la memoria familiare e quel poco o tanto che i nostri genitori ci hanno lasciato come eredità di vita e che noi riconosciamo come tale e la consegniamo rinnovata ai nostri figli.

Perché mai quel vecchio bisnonno Brenno di novantasei anni dovrebbe da lontano, ad una sua pronipote Scilla, ricordare di annaffiare di tanto in tanto i vasi di portulache sulla terrazza di casa dei nonni al mare, rito che si ripeteva da almeno quattro generazioni. Cosa vorrà dire tutto questo? E perché fra un capitolo e l’altro del racconto compare un breve, secco, ripetuto accenno telegrafico a questo viaggio mitico, che apparentemente è estraneo alla narrazione, ma che è invece centro narrativo e chiave interpretativa del racconto. Che significato potrà avere, se non la nostalgia dei legami generazionali forti e la speranza di sopravvivere nella mente e nella memoria generazionale?