Il viaggio psicoterapeutico di paziente e terapeuta alla ricerca dei segni del malessere. Parte Seconda

Giuseppe Basile

Parte seconda

In psicoterapia noi spesso agiamo come compagni di un paziente che è troppo spaventato per incontrare da solo le sue difficoltà

(Alfredo Canevaro)

 

Il viaggio psicoterapeutico di paziente e terapeuta alla ricerca dei segni del malessere. Parte Seconda

Giuseppe Basile

 

 

E adesso so che bisogna alzare le vele

e prendere i venti del destino,

dovunque spingano la barca.

Dare un senso alla vita può condurre a follia

ma una vita senza senso è la tortura

dell’inquietudine e del vano desiderio,

è una barca che anela al mare eppure lo teme

EDGAR LEE MASTERS: Antologia di Spoon River

 

Statisticamente sono pochi quelli che richiamano dopo il primo colloquio. E sono quelli più motivati ad iniziare il viaggio esplorativo dentro di sé alla ricerca del sintomo e del suo significato.

Il viaggio allora comincia, come avviene in tutti i viaggi, chiedendo al paziente: dove andiamo e come, che a sua volta mi chiede se bisogna avere una attrezzatura adeguata, se ci sono mappe da seguire.

Ovviamente rimane imbarazzato e anche curioso. L’unica cosa che può dire è che sta male e non sa perché, e rimane stupito quando gli dico che non lo so nemmeno io nonostante quello che ha già detto.

Specifico che dove andiamo e quale percorso seguiamo non è scritto in nessuna mappa e che partiamo dai pochi segni visibili che lui porta e manifesta.

Partiamo così dai segni osservabili e dalla cronologia delle loro manifestazioni, come naviganti solitari che si avventurano per necessità in mare aperto verso un luogo più sicuro, dotati di una bussola e poche informazioni. E’ un viaggio e un apprendimento della conoscenza di sé che deve essere fatto quasi in solitaria con l’unico accompagnatore che dice però “di non sapere”, ma pronto, al bisogno, di aiutare, anche se “sta tre passi indietro”. Il paziente deve sperimentarsi nella ricerca di sé in modo autonomo, nessun altro può fare questo lavoro di autoconoscenza al posto suo e nessuno può insegnargli regole o saperi su come fare.

Trovo significativa al proposito questa poesia di Gibran

https://www.giuseppebasilepsicoterapeuta.it/e-un-maestro-domando-parlaci-dellinsegnamento/

 

“E un maestro domandò: parlaci dell’Insegnamento.

Ed egli disse:

Nessuno può insegnarvi nulla, se non ciò che

in dormiveglia giace nell’alba della vostra conoscenza.

Il maestro che cammina all’ombra del tempio, tra i discepoli,

non dà la sua scienza, ma il suo amore e la sua fede.

E se egli è saggio non vi invita ad entrare

nella casa della sua scienza,

ma vi conduce alla soglia della vostra mente.

L’astronomo può dirvi ciò che sa degli spazi,

ma non può darvi la propria conoscenza.

Il musico vi canterà la melodia che è nell’aria,

ma non può darvi il suono fissato nell’orecchio, né l’eco nella voce.

E il matematico potrà descrivervi regioni di pesi e di misure,

ma colà non vi potrà guidare.

Giacché la visione di un uomo non impresta

le sue ali ad un altro uomo.

E come Dio vi conosce da soli,

così tra voi ognuno deve essere solo a conoscere Dio,

e da solo comprenderà la terra.”

Gibran (1981)

 

Poesia che si trova in un testo di psicoterapia[1] ed è significativa per il lavoro psicoterapeuta.

                  • Nessuno può insegnarvi nulla, se non ciò che in dormiveglia giace nell’alba della vostra conoscenza”, è la risposta.

Un maestro può risvegliare solo quello che già c’è sopito in ognuno di noi, l’alba della conoscenza, che aspetta il raggio di sole, perché sparisca il buio della notte e della conoscenza

                  • E se egli è saggio non vi invita ad entrare nella casa della sua scienza, ma vi conduce alla soglia della vostra mente.

E’ quello che succede nel lavoro di psicoterapia, in cui non c’è una trasmissione passiva di sapere, di ricette precostituite, né una guarigione magica e suggestiva, se non un lavoro paziente fatto di ascolto, di ricerca attenta sul senso e sul perché l’altro sta male e chiede aiuto, un seguire l’altro nel silenzio all’ombra del tempio, con amore e fede. È l’antica arte socratica della maieutica, di aiutare l’altro a tirar fuori quello che ha già dentro, a scoprire la verità del suo star male, piuttosto che dare istruzioni preconfezionate o fornire una propria verità, anche se autorevole, perché fornita da un maestro. “Giacché la visione di un uomo non impresta le sue ali ad un altro uomo”.

Se lo facesse sarebbe un cattivo maestro e un cattivo terapeuta.

Ovviamente perché il cammino possa procedere deve essere implicito un patto, una alleanza reciproca fra terapeuta e paziente, e solo quando c’è una buona alleanza terapeutica, statisticamente si è a metà del viaggio.

Ma perché ci sia una buona alleanza terapeutica si richiedono almeno tre condizioni: l’esplicita condivisione di obiettivi, la chiara definizione di compiti reciproci, una relazione caratterizzata da fiducia e rispetto.[2]

Particolarmente significativa è la terza condizione, la relazione terapeutica, che, come tutte le relazioni, è un legame basato su aspettative emotive reciproche che possono rievocare vissuti del passato e proiettati inconsciamente[3].

 

[1] La psicoterapia con la coppia, (Malagoli Togliatti, Angrisani, Barone -Franco Angeli),