La capacità e la forza della relazione e della parola nel produrre cambiamento e benessere Cancrini – Vinci

La capacità e la forza della relazione e della parola nel produrre cambiamento e benessere

Cancrini – Vinci

 ” La discussione sul rapporto mente—corpo e sul rapporto psicoterapia-psicofarmacologia deve registrare un dato di straordinaria importanza che, secondo me, chiude la discussione stessa. Mi riferisco alle scoperte del premio Nobel Eric Kardel, che ha dimostrato come l’immateriale, lo psichico, produce nel sistema nervoso modificazioni fisiche, strutturando e fissando nuovi circuiti neuronali. Ciò che come esseri umani, e prima di ogni conferma scientifica abbiamo sempre avvertito – e cioè la capacità e la forza della relazione e della parola nel produrre cambiamento e benessere – non ha solamente correlati transitori nel nostro organismo. La parola da cui ci sentiamo aiutati, e la relazione giusta in cui essa prende vita, non attiva soltanto i centri del nostro sistema nervoso che producono endorfine o serotonina, e che ci fanno pensare: “Sto bene”.

Nuovi modi di vedere le cose, di relazionarsi agli altri, di guardare se stessi producono un differente funzionamento, tendenzialmente stabile, della nostra materia grigia.

Riuscire a farsi abbracciare da una persona desiderata, riuscire a inventarsi o a trovare un lavoro che piace, ci cambia molto di più di qualsiasi sostanza introdotta occasionalmente dall’esterno.

Forse anche per sempre, perché é cambiato, quanto basta, il mio modo di guardare e stare, nelle cose, e anche il mio sistema nervoso, la macchina (l’hardware) su cui girano le mie idee, i miei programmi (il software)”.

Cancrini – Vinci, Conversazioni sulla psicoterapia – Alpe

 

Commento

E’ la prova che l’unica vera terapia che guarisce è l’amore, perché sotto ogni variegata forma di patologia c’è sempre la disperazione della solitudine.

Ovviamente, è quando viviamo relazioni di amore con la persona che ci sta accanto, con cui condividiamo aspettative, speranze, progetti di vita, senso della vita. Al contrario là dove c’è conflitto relazionale, incomprensione, esasperazione, mutismo, il livello di benessere si accorcia, prima o poi compare la depressione, il silenzio patologico, la separazione, l’aggressività, anche se si continua a vivere assieme.

Cosa ci dice ora la scienza? Che “lo psichico, produce nel sistema nervoso modificazioni fisiche, strutturando e fissando nuovi circuiti neuronali”. Questo nel bene e nel male. Lo si sapeva da tempo, che quando stiamo bene psicologicamente, stiamo bene anche fisicamente o comunque accettiamo meglio il nostro male fisico. Quello che ora è dimostrato è che il nostro star bene psicologico  o il nostro star male modifica le connessioni neuronali del nostro sistema cerebrale, producendo o bloccando naturalmente la serotonina, nota anche come “ormone del buonumore”.

Se si fa una puntualizzazione dell’importanza e della forza dei valori psichici, è forse per evitare e arginare la deriva psichiatrica di una visione organicistica della sofferenza per cui ogni sofferenza, anche quella psichica, è “malattia”, da curare con gli strumenti della medicina (farmaci e psicofarmaci), spesso abusati, e non sempre con certezza di efficacia[1]. Di per sè la sofferenza è una condizione umana, ed entro certi limiti è comprensibile e naturale. Non è naturale, nasconderla e non sentirla, ovattarla in tanti modi. Questo sarebbe patologico. Perché il sintomo ha anche una funzione autocurativa, anche se sembra paradossale, come è stato riscontrato nei pazienti depressi cronici. I sintomi depressivi non solo chiudono un ciclo di comportamenti interpersonali caratterizzati da alta conflittualità e aggressività.

“La depressione avrebbe quindi un valore adattivo per il paziente perché, mettendo drasticamente fine a comportamenti interpersonali negativi, che amplificano conflitti e provocano rotture, porrebbe le premesse per il ristabilimento delle relazioni significative e per la guarigione”. [2]

 

Il sintomo cioè non è solo patologia da estirpare ad ogni costo. Il sintomo è parola e comportamento che significa qualcosa, è dotato di senso, è messaggio, è comunicazione, anche se comunicazione metaforica, e non è solo patologia classificata, etichettata in un manuale psicodiagnostico, a cui si possa attingere per avere ragguagli e certezza su come possa essere curato ed eliminato.

Il sintomo è qualcosa che parla di qualcos’altro e su cui si lavora, ma non si sa con certezza cosa sia, perché il sintomo ha una natura metaforica, comunica qualcosa che sta al posto di qualcos’altro, qualcosa che va ricercato con pazienza, passione e desiderio di conoscere per aiutare.

Mi viene in mente un caso esemplare di un paziente. Curato per una grave depressione cronica, da uno psichiatra per anni con una cura farmacologica, anche se si vantava di essere psicoterapeuta, ad un certo punto, vista la resistenza dei sintomi che addirittura si aggravavano, ha la bella idea di non farsi più rintracciare al telefono, abbandonando così il paziente. Allora la moglie, dopo tanto cercare, mi rintraccia chiedendomi una psicoterapia per il marito. Accetto l’incarico prospettando una psicoterapia familiare con la presenza non solo della moglie, ma anche dei due figli adulti.

Terapia lunga, impegnativa, allargata anche ai familiari della famiglia di origine del marito, per scoprire alla fine, con grande fatica e impegno di tutti, che l’origine della crisi depressiva era dovuta al rifiuto dei fratelli e delle sorelle del paziente di accondiscendere al suo desiderio di accogliere la madre anziana in casa sua. La conseguenza è stata la rottura delle relazioni familiari continuata per molti anni dopo la morte della madre e la comparsa del sintomo depressivo acuto del paziente. Si è aperto uno spiraglio quando abbiamo ricostruito la storia della famiglia di origine del paziente, indizio che ci ha portato sempre più a capire e scoprire la ferita relazionale: il conflitto fra i fratelli su chi e come farsi carico della madre anziana.

Non sempre però la ricerca e la interpretazione del sintomo è facile e non sempre la si trova. Il terapeuta non è onnipotente e infallibile!

A volte io confesso umilmente che mi trovo con le mani vuote, anche dopo molta fatica e molte energie spese nella ricerca, e lo comunico al paziente, anche se può sembrare controproducente offrire all’altro l’immagine di un terapeuta senza potere, piuttosto che ammantarmi di un finto potere.

Ma nello stesso tempo comunico che non abbandono la persona e la ricerca del senso del suo star male, se c’è ancora fiducia nella relazione terapeutica.

 

[1]  Vedi il Prozac e i suoi derivati
[2] Quello che la serotonina non spiega, Valeria Ugazio, Terapia Familiare, n. 94, 2010