La delusione e la speranza (titolo mio)
[…]… Guardo i miei vasi di portulache, affacciati sul mare e schiaffeggiati dal vento e dalle gocce ormai fitte. Il più futile dei pensieri – chi curerà questa terrazza quando non ci sarò più? – è anche il più lacerante.
Mia nonna, poi mio padre curarono questi vasi.
La cura del mondo è un’abitudine che si eredita.
A dieci anni riempivo l’annaffiatoio per mio padre, e la facilità con la quale lui maneggiava con una sola mano quei dieci litri d’acqua che io gli porgevo con fatica e impaccio mi pareva il traguardo della mia infanzia. Ora che maneggio con la stessa destrezza quei dieci litri, e sono dunque adulto, mi rendo conto che nessuno mi porge l’annaffiatoio.
Una catena è spezzata – ne sono l’ultimo anello. Non c’è dubbio.
Sono l’ultimo anello.
[…] E un’altra cosa, anzi due. Una importante e una meno. Quella importante l’ho già dimenticata. Quella meno: fai in modo che i vasi di portulache nella mia casa al mare siano curati almeno un poco, e annaffiali ogni tanto
Michele Serra, Gli sdraiati – Feltrinelli pag. 32
Commento
“Ci vogliono tre generazioni per fare un figlio” (Talmud)
“Tutti i grandi sono stati bambini una volta…ma pochi di essi se ne ricordano” (A. de Saint Exupery)
Prima o poi arriverà per ognuno di noi il tempo in cui ci faremo la stessa domanda: “Chi si prenderà cura di …? “. Di una qualsiasi cosa a cui siamo attaccati, o nel segreto o conosciuta anche agli altri. Comunque riconosciuta come valore simbolico significativo di una esistenza, di un essere stato nel mondo. Chi riconoscerà una traccia lasciata, che lega nel tempo presente e passato le generazioni?: “Mia nonna, poi mio padre curarono questi vasi”. L’aspettativa, il desiderio è che sopravvivano i vasi di portulache e con i vasi chi li ha coltivati, chi ne ha avuto cura. Vero che il prendersi “cura del mondo è una abitudine che si eredita”, cura delle portulache, delle piante, della casa dove si è vissuti, dei figli, dei genitori, delle persone che ne hanno bisogno e della memoria lasciata, se è riconosciuta (https://www.giuseppebasilepsicoterapeuta.it/leggere-il-dolore-sulle-foglie-massimo-recalcati/).
In fondo il passaggio generazionale è una catena, i cui anelli si succedono e si legano o si spezzano. Se prima c’era memoria e conoscenza dei legami e dell’appartenenza, ora in una società “liquida”, in cui tutto appare relativo e senza ancoraggi sicuri, la consapevolezza di essere anelli di una catena si sta sbiadendo sempre più. I legami familiari si indeboliscono, conseguentemente non c’è riconoscimento dell’altro che appartiene alla mia stessa storia, pervade di fatto l’estraneità, la lontananza. Così non c’è più cura della memoria familiare e dell’appartenenza ad una storia comune più ampia di quella della famiglia nucleare. Il rito dell’annaffiare i vasi di portulaca di padre in figlio in una continuità di sentimenti, di apprendimenti silenziosi, esprime la sintonia fra le generazioni, la trasmissione di un rito familiare vitale che serve a rinforzare i legami di appartenenza. https://www.giuseppebasilepsicoterapeuta.it/i-riti-familiari/ .
“La cura del mondo è un’abitudine che si eredita”. Il piccolo gesto della cura del luogo e delle piante, è un’eredità appresa e riconosciuta come fonte di vita. Assicura anche simbolicamente la sopravvivenza nella memoria dei discendenti, ripetendo questo rito antico. ….”Fai in modo che i vasi di portulache nella mia casa al mare siano curati almeno un poco, e annaffiali ogni tanto”, appello che in altra pagina fa il bisnonno alla pronipote.
Ma nasce spontanea allora anche una domanda: C’è bisogno ancora di forti legami familiari in una società “liquida”? O dobbiamo prendere atto che “Una catena è spezzata – ne sono l’ultimo anello. Non c’è dubbio”? Che un’altra società è quella in cui viviamo, in cui l’individuo è protagonista esclusivo della sua storia e della sua vita che non contempla la necessità di riferimenti ad altre storie precedenti. Ma dove nello stesso tempo si diffonde un sentimento di vuoto esistenziale. https://www.giuseppebasilepsicoterapeuta.it/un-comprendere-clinico-del-sentimento-di-vuoto-esistenziale-corrado-pontalti
Così delusione e speranza si rincorrono, si cercano, non si rassegnano.