La nostra anima è una cattedrale – – – – – – – di Paulo Coelho

La nostra anima è una cattedrale

Paulo Coelho

 

Guardo fuori dal finestrino: da quanto ho appena sentito alla radio, ci sono circa cinquemila camion fermi al confine tra Francia e Spagna per una violenta e improvvisa tempesta di neve. È stata un’ottima cosa aver ricevuto la telefonata di un’amica che aveva fatto quel percorso il giorno prima: mi ha avvertito di evitare a tutti i costi quella che sarebbe la strada più veloce per attraversare i Pirenei. Ora mi trovo su una piccola strada laterale, dove ci si muove lentamente — ma ci si muove.

Sto andando a fare una cosa che non mi piace molto: tenere una conferenza. Avevo tutte le scuse possibili per non rispettare questo impegno, e gli organizzatori avrebbero capito perfettamente — il traffico è un disastro, c’è il ghiaccio sull’asfalto, tanto il governo spagnolo che quello francese raccomandano a tutti di non uscire di casa in questa regione durante il fine settimana, perché il rischio di incidenti è alto. Il giornale del mattino scriveva che ci sono più di 17mila persone bloccate in un altro tratto stradale, la Protezione civile è stata mobilitata per portare soccorso con cibo e rifugi di fortuna, dato che il carburante di molte auto si è esaurito e non è più possibile tenere acceso il riscaldamento.

Mi sono svegliato pensando che fosse meglio cancellare la mia visita, ma qualcosa dentro di me mi ha spinto in avanti, verso l’asfalto scivoloso e le ore di pazienza negli ingorghi. Che cosa mi spingeva? Forse il nome della città: Vitoria, la capitale dei Paesi Baschi. Forse l’idea che rimango troppo a lungo nel mio vecchio mulino e finisco con l’abituarmi alla solitudine. Forse l’entusiasmo delle persone che in questo momento stanno cercando di recuperare una cattedrale costruita molti secoli fa — e che, per richiamare l’attenzione sull’opera che stanno portando avanti, hanno invitato alcuni scrittori a tenere delle conferenze. O forse ciò che dicevano gli antichi navigatori: «Navigare è necessario, vivere non lo è».

E io navigo. Dopo molto tempo e molta tensione, arrivo a Vitoria, dove mi aspettano persone ancora più tese. Dicono che una bufera di neve come questa non si vedeva da più di trent’anni, apprezzano lo sforzo, ma d’ora in poi bisogna rispettare il programma ufficiale, che prevede una visita alla cattedrale di Santa Maria.

Una giovane donna, con una luce speciale negli occhi, comincia a raccontarmene la storia. All’inizio, c’era la muraglia. Poi la muraglia è rimasta lì, ma una delle pareti fu usata per la costruzione di una cappella. Passarono decine di anni e la cappella divenne una chiesa. Un altro secolo e la chiesa divenne una cattedrale gotica. La cattedrale conobbe i suoi momenti di gloria, cominciò ad avere dei problemi strutturali, fu abbandonata per un periodo, subì delle ristrutturazioni che ne deformarono la struttura, ma ogni generazione pensava di aver risolto il problema. E così, nei secoli seguenti, qui costruivano un muro, là demolivano una trave, su questo lato aumentavano i rinforzi, aprivano e chiudevano vetrate. E la cattedrale sopportava tutto.

Cammino lungo lo scheletro della cattedrale in fase di restauro: questa volta gli architetti garantiscono di aver trovato la soluzione migliore. Ci sono impalcature e rinforzi metallici ovunque, grandi teorie sui prossimi interventi e qualche critica a ciò che è stato fatto in passato.

E all’improvviso, al centro della navata centrale, mi accorgo di una cosa molto importante: la cattedrale sono io, ognuno di noi. Stiamo crescendo, cambiando forma, ci troviamo di fronte ad alcune debolezze che vanno corrette, non sempre scegliamo la soluzione migliore, ma nonostante tutto andiamo avanti, cercando di restare in piedi, dritti, per onorare non le pareti, né le porte o le finestre, ma lo spazio vuoto che c’è dentro, lo spazio dove amiamo e veneriamo ciò che ci è caro e importante.

Vale la pena di criticare gli errori del passato? Penso che sia ingiusto, perché dopo tutto, cerchiamo sempre di fare del nostro meglio. Si può essere sicuri che la soluzione attuale sia la migliore? Penso che sia rischioso pensarlo, forse più avanti arriveremo alla conclusione che esiste una scelta più saggia. L’importante è non dimenticare mai che siamo lì, che dobbiamo lottare per rimanere in piedi, per rispettare il motivo per cui siamo stati creati.

Guardo la cattedrale di Santa Maria, mi preparo per la conferenza, e capisco perché ho affrontato la neve, gli ingorghi, il ghiaccio sulla strada: per ricordare che ogni giorno devo ricostruire me stesso.

© 2019 by Paulo Coelho Traduzione di Luis E. Moriones

Repubblica 24/12/2019   https://quotidiano.repubblica.it/edizionerepubblica/pw/flipperweb/flipperweb.html?testata=REP&issue=20191224&edizione=nazionale&startpage=1&displaypages=2

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Commento

«Navigare è necessario, vivere non lo è». La vita è navigazione, è conoscere, è spostare sempre più in là i confini della propria conoscenza, è ricerca continua per dare risposta a quello che non si sa. Ma nello stesso tempo è un assumersi la responsabilità della navigazione nel mare sconosciuto. Altrimenti è semplice sopravvivenza insignificante, deprecata da Dante: “fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza“. E non è detto che il continuo movimento, il frenetico spostarsi in ogni luogo sia di per sé fonte di conoscenza e di arricchimento di sè. Adesso è di moda anche viaggiare e al ritorno dimenticare quello che si è visto.

C’è chi naviga però liberamente esplorando territori e mondi sconosciuti con le carte nautiche e geografiche, rimanendo attaccato alla casa, alla contrada, come Ariosto insegna:

 

“Degli uomini son varii li appetiti:

a chi piace la chierca, a chi la spada,

a chi la patria, a chi li strani liti.

Chi vuole andare a torno, a torno vada :

vegga Inghelterra, Ongheria, Francia e Spagna;

a me piace abitar la mia contrada”.

Quel che conta nel voler navigare è il senso di questo muoversi, il senso da dare alla vita, la ricerca di risposte alle domande esistenziali.

“La cattedrale sono io, ognuno di noi”. Questa è la risposta che si dà Paulo Coelho, , essere cattedrale è storia e programma di vita, e la offre a noi, se vogliamo farla nostra. Storia di quel che siamo e di come siamo diventati, storia preziosa che va custodita, storia di quel che amiamo, storia della memoria dimenticata e da ricostruire con fatica e da consegnare in eredità a chi ci sopravvive. Ma anche programma di vita che impegna a discernere quel che conta da ciò che è superfluo, a costruire qualcosa che duri nel tempo. Valeva la pena affrontare un viaggio pericoloso, navigare per strade pericolose e incerte per visitare alla fine una antica cattedrale con una storia di continue costruzioni e ricostruzioni, di errori e correzioni? Sì che ne valeva la pena! Perché improvvisamente in quello spazio vuoto centrale, luogo del silenzio per eccellenza, martoriato da ponteggi, travi, scale, periti, operai al lavoro, Coelho si vede come in uno specchio, scopre la sua e la nostra identità. Noi siamo una cattedrale, la cattedrale di Santa Maria. Ognuno di noi è una storia martoriata fatta di fare e rifare, di errori e correzioni, di dimenticanze e abbandoni, cadute e rialzate. Tutto per stare in piedi, solidi, coraggiosi, convinti che ne vale la pena. Se tutto questo invece è uno strazio, una fatica insopportabile, l’alternativa è stare seduti, non mettersi in viaggio, rassegnarsi che non vale la pena, che non ha un senso ricostruire la nostra cattedrale, curare le crepe, sostenere e rafforzare muri cadenti e pericolanti. Rinunciare così a coltivare la speranza di una vita migliore, che si può cambiare, che si può vincere la depressione che immobilizza e oscura, che c’è sempre tempo per dare senso alla propria vita.

E ricordarsi: che ogni giorno devo ricostruire me stesso

 

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