L’emancipazione dei genitori dai figli: l’adolescenza. – – – – – Stefania Alfano* Rosa Miniaci**

L’emancipazione dei genitori dai figli: l’adolescenza.
Stefania Alfano* Rosa Miniaci**
* Psicologa-Specialista in Psicoterapia Familiare
** Psicologa- Psicoterapeuta sistemico-relazionale in formazione

 

Gli esseri umani non nascono sempre il giorno in cui le loro madri li danno alla luce,
ma la vita li costringe ancora molte volte a partorirsi da Sé.
Gabriel Garcia Marquez

 

La condizione degli adolescenti oggi è condizione che ci è sembrata interessante da approfondire e sviluppare in questo articolo. Fatti di cronaca ed esperienze quotidiane ci hanno portato a riflettere su questo critico momento di vita sia per l’adolescente che per la sua famiglia.
L’adolescenza è un evento critico che mette a dura prova la capacità di adattamento e flessibilità dell’intera organizzazione e struttura familiare: si tratta di una sfida evolutiva che coinvolge sia l’adolescente che la coppia genitoriale. L’adolescenza, per questo, è stata definita “un’impresa
evolutiva congiunta” di genitori e figli (Scabini, 1995), che si caratterizza non tanto per la brusca e netta separazione dell’adolescente dalla famiglia, quanto piuttosto per una trasformazione e ristrutturazione dei legami preesistenti. Nicolò-Corigliano e Ferraris (1991) sottolineano che


“l’adolescente, nel suo processo di svincolo, metterà in discussione non solo i modelli di funzionamento familiare ma anche i valori, gli ideali e le credenze” di tutta la famiglia.
Il processo evolutivo della famiglia, si snoda in una sorta di mobilità intersistemica, un passaggio, obbligato ma sereno, tra i diversi universi relazionali; è visto come un processo di continua ristrutturazione della trama dei rapporti relazionali tra i membri della famiglia e quello delle generazioni precedenti. Il sistema familiare fa inevitabilmente i conti con il tempo. Il tempo è inteso sia come “ flusso temporale molto ricco, punteggiato e continuamente trasformato dai tempi dalle nascite, dai tempi della crescita, e dalle entrate e uscite dei diversi componenti del sistema familiare” (Andolfi, 2003), sia come “ ritmo che orchestra i legami vitali di più generazioni, che, tramite azioni e  racconti, danno luogo alla storia familiare. Il tempo familiare ha perciò vita più
lunga del tempo individuale, lo travalica, rappresentando l’elemento di continuità nel passaggio delle generazioni” (Cigoli,1997). Secondo la teoria  transgenerazionale di Boszormenyi-Nagy (1973), ogni famiglia non finisce in se stessa dal momento che c’è un lascito dalle rispettive famiglie di origine.

Boszormenyi–Nagy e Spark (1973), parlano di lealtà invisibili; una forza sistemica, funzionale al mantenimento del gruppo multi generazionale, attraverso un invisibile tessuto di aspettative. Esiste nelle famiglie un bilancio invisibile trascritto su un libro dei conti in  cui gli obblighi passati e presenti influenzano la consegna di ruoli e di aspettative secondo quella che è l’etica dei rapporti e il senso di giustizia formato all’interno della famiglia.


In quest’ottica, i sintomi attuali diventano il risultato di un processo multi generazionale; tramite il “processo di proiezione della famiglia” i problemi non risolti dei genitori possono trasmettersi sui figli. Diversi autori considerano uno specifico fattore di rischio le esperienze traumatiche irrisolte nel passato del genitore, vissute senza la possibilità di sperimentare conforto e lenimento (Di Noia, 2009). Talvolta problemi personali che si è fatta fatica a lasciare indietro, per cercare di costruire un proprio futuro, ritornano come “scheletri nell’armadio” (Malacrea, 1998).
Laddove il genitore abbia una condizione mentale di dissociazione in rapporto a esperienze traumatiche passate o esperienze di perdita non elaborate, può manifestare, in particolare, una specifica difficoltà a prestare un’attenzione agli stati affettivi del figlio e, in generale, una difficoltà a rivestire il ruolo di genitore.
Ogni cambiamento interno al sistema, comporta una rielaborazione e assegnazione dei ruoli e delle funzioni che si trasformano nel tempo, e che vengono assunte e interpretate in modo nuovo dagli altri componenti (Migliorini, 2008). Ad ogni tappa del ciclo di vita di una famiglia, corrisponde una situazione nuova da affrontare che mette inevitabilmente in crisi le vecchie modalità e richiede necessariamente un nuovo assetto familiare. La crisi costituisce il primo atto di una nuova fase maturativa che contiene il massimo del potenziale di cambiamento (Andolfi, 2003).
Nell’evoluzione del sistema familiare, l’incontro con alcuni eventi critici, attraverso la disorganizzazione-riorganizzazione del sistema stesso, implica il superamento di alcuni compiti di sviluppo, permettendo l’entrata in una fase del ciclo successiva. Le varie tappe del ciclo vitale di una famiglia, sono contrassegnate da particolari eventi significativi: nascite e morti, separazioni e
unioni, inclusioni ed esclusioni, e fanno tutti riferimento ai cambiamenti strutturali della famiglia (Andolfi, 2003). Un evento indipendentemente dalla sua connotazione positiva o negativa, è critico perché implica sempre una perdita: la perdita di una modalità di legame precedente, di un ruolo, di una  rappresentazione di sé e dell’altro (Vallario, 2010). L’adolescenza rinvia fortemente al tema del distacco-perdita sperimentato dai figli e dai genitori: i primi perdono “l’innocenza dell’età infantile”, mentre i secondi la loro forza biologica e il loro ruolo di genitori “onnipotenti” (Scabini, Iafrate, 2003). I genitori, inoltre, devono affrontare anche le perdite relative alla morte o alla
malattia dei loro stessi genitori. In situazioni già caratterizzate da perdite non elaborate, lo svincolo dei figli entra in risonanza con le angosce di separazione, rendendo più complesso il processo di individuazione (D’Amore, Mulè, 2004).
Ogni pezzo che se ne andrà per lasciare spazio al nuovo, porterà dolore e il nostro dolore sarà proporzionale alla nostra relazione di attaccamento. Acquisire, riconoscere, lasciare. Il processo di crescita è ritmato da questi tre momenti. Non si può lasciare qualcosa che non si è avuto o che non si è mai avuto il coraggio di desiderare (Menghi, 1999). Ogni trasformazione porta con sè emozioni di paura, poiché ci fa allontanare dalla stabilità di ciò che già conosciamo, e che è rassicurante, ma che, immancabilmente, immobilizza e non consente la crescita dell’individuo e della famiglia.
Il blocco del tempo segnala che vi è una difficoltà a compiere le transizioni evolutive del ciclo vitale. Eventi traumatici non risolti, blocchi evolutivi e arresti nella comunicazione emotiva, sono segnali di un tempo che appare cristallizzato, con una “trama affettiva che invischia, trattiene, lega e sospende, in un tempo che sembra fermo” (Onnis, 2004).
Una famiglia si irrigidisce in una situazione che non offre nessuna possibilità di evoluzione e di cambiamento, manifestando un’assoluta lealtà nel conformarsi alle regole più significative del suo sistema. Si determina, in tal modo, una “immobilità sistemica”. Questo blocco è ciò che toglie funzionalità ad un sistema, impedendogli di avanzare nel processo della vita, e l’adolescente si
blocca in uno specifico contesto relazionale con evidente difficoltà di individuazione. Il più grande timore è proprio quello che l’individuazione possa disgregare l’unità familiare.
L’individuazione, il processo di crescita, la conquista graduale dell’autonomia, e il superamento dei bisogni infantili di dipendenza, sono fra i complessi compiti di questo periodo. “Non sono quello che dovevo essere, non sono quello che sto per essere, ma non sono neppure quello che ero”.
Concetti quali fiducia, autonomia, iniziativa e industriosità contribuiscono, secondo Erikson (1982), a formare l’identità della persona. La modalità psicosociale di questo stadio è rappresentata proprio dall’essere se stessi o meno; l’essere o non essere di shakspeariana memoria. Compito base è
integrare le varie identificazioni che l’adolescente si porta dall’infanzia per formare un’identità più completa; questa identità ricostruita corrisponde ai nuovi bisogni, abilità e mete dell’adolescenza.
Se l’adolescente non è in grado di integrare le proprie identificazioni, i propri ruoli o i propri sé, può avere a che fare con una diffusione dell’identità (Minuchin, 1976).
L’adolescente, da una parte, reclama la sua autonomia e indipendenza, dall’altra è ancora molto dipendente dalla famiglia. Possiamo rappresentare la precarietà sospesa e, insieme, lo slancio di tale periodo evolutivo, ricorrendo all’immagine del trapezista che ha già lasciato il primo trapezio ma non ha ancora afferrato il secondo. Per poter svolgere il compito della separazione e della propria
individuazione, l’adolescente deve sotto un certo profilo disinvestire la relazione con i genitori, e abbandonare le identificazioni infantili (Novelletto, 1991) per accogliere dentro di sé nuove identificazioni in parte già di tipo adulto, in parte specifiche e peculiari del periodo adolescenziale.
Un concetto fondamentale è che per divenire se stesso l’adolescente deve trovare il coraggio di ribellarsi alle identificazioni proiettive e alle aspettative che i genitori hanno riversato su di lui.

Gli adulti si devono confrontare e rispondere alla ribellione, alla sfida. Diceva Winnicott (1991):
“Dove c’è un ragazzo che lancia la sua sfida per crescere, là deve esserci un adulto pronto a raccoglierla … perché a livello profondo, nella fantasia inconscia, si tratta di una questione di vita o di morte per l’adolescente”.

Soltanto in questo modo, sarà possibile per i figli trovare la propria strada, senza il fardello dei sensi di colpa, o il sorgere di crisi, legate principalmente agli obblighi di lealtà nei confronti dei propri genitori.
Ciò che conta è che la sfida dell’adolescente venga accolta. Il modello di Baumrid (1989) individua due dimensioni indipendenti: l’accettazione, che consiste nell’accettare il figlio per quello che è, valorizzandone le qualità personali senza pretendere di modellarlo secondo i propri criteri, ed il controllo, che consiste nel guidare e stimolare il figlio sia sul piano psicologico, sia su quello
comportamentale. Un equilibrio tra la funzione di sostegno e la funzione di guida dei genitori, risulta essere lo stile educativo che maggiormente favorisce un adeguato superamento della transizione adolescenziale.
I genitori, devono essere in grado di favorire lo svincolo del figlio adolescente e,
contemporaneamente, devono rappresentare sempre un punto di riferimento, una base sicura per il figlio nei momenti di difficoltà. Bowlby (1989) ritiene che “la caratteristica più importante dell’essere genitori è fornire una base sicura da cui un bambino o un adolescente possa partire per affacciarsi nel mondo esterno e a cui possa ritornare sapendo per certo che sarà il benvenuto, nutrito sul piano fisico ed emotivo, confortato se triste, rassicurato se spaventato”.
Il legame d’attaccamento con i genitori svolge la funzione di regolazione emotiva nel processo di graduale acquisizione di una maggiore autonomia da parte dell’adolescente. Nella conquista dell’autonomia l’individuo deve poter “esplorare emotivamente” la possibilità di vivere indipendentemente dalle figure di riferimento, essendo consapevole di poter sempre contare su di loro. La sensibilità e la responsività genitoriale si esprimono con l’apertura ed il contatto emotivo alla richiesta d’aiuto, attraverso il sostegno e la disponibilità ai graduali tentativi dei figli di raggiungere l’autonomia, auto-organizzazione e stima di sé.
Ma questa fase del ciclo di vita della famiglia caratterizzata da forti discussioni, incertezze e paura di sbagliare, non rende i genitori, spesso, disponibili ad essere base sicura per i figli. La crescita, lo svincolo dei figli segnano inevitabilmente un cambiamento significativo nella coppia coniugale, spingendo i genitori a guardarsi in faccia senza più intermediari e a vivere in una costante “condizione di allerta” . Ciò porta a dover ridefinire la relazione coniugale e a dover reinvestire in essa. Lo svincolo dei figli richiede una maggiore disponibilità all’esperienza di intimità e all’amore “coterapeutico” tra i coniugi, come valori da ricercare e vivificare nel ciclo di vita, ponendo un’ulteriore definitiva differenza rispetto ai valori che la caratterizzavano (Canevaro, Gritti, 1999).

In seguito ai cambiamenti del sistema familiare, i due partner per restare coppia dovranno coltivare interessi culturali e sociali sia come singoli che congiuntamente, valorizzare l’attività lavorativa di ciascuno, ecc … Se i singoli e la coppia riescono ad elaborare questi cambiamenti, si attuerà un processo di ristrutturazione e un’evoluzione positiva della coppia stessa verso nuove modalità di relazione, mentre se ciò non avviene le tensioni potrebbero arrivare a creare una crisi coniugale (la parola crisi é intesa come separazione e scelta all’interno di un processo evolutivo).
Per evitare la contemporanea crisi genitoriale, Haley (1971) vede la crisi adolescenziale come “ una lotta per mantenere le vecchie posizioni gerarchiche all’interno del sistema familiare”. Un figlio “utile” ai genitori potrebbe, perciò, ritardare la sua uscita per consentire un aggiustamento difficile nella relazione di coppia, o peggio rinunciare per sempre alla sua indipendenza, dedicandosi al suo compito di equilibratore per il resto della sua vita (attraverso un sintomo).
Utilizzando una terminologia sistemica, potremmo, dunque, dire: l’emancipazione dei genitori dai figli attraverso lo svincolo. La transizione all’età adulta è sempre più “un’impresa evolutiva congiunta” dei genitori e dei figli volta a rendere possibile il reciproco distacco senza rotture irreparabili (Cigoli, 1985; Youniss, Smolla, 1985; Sroufe, 1991, Scabini, 1995), dal momento che implica una trasformazione dei legami preesistenti in una forma più matura, esito della
rinegoziazione delle relazioni intergenerazionali (Grotevant, Cooper, 1983). Tale processo di svincolo deve essere incoraggiato dai genitori, i quali dovrebbero trovare altre aree di interesse e condivisione per la propria coppia, investendo maggiormente sull’aspetto coniugale, senza dimenticare, però, che la coppia è formata da due individualità caratterizzate da una propria storia e anche dal grado di differenzazione dalla propria famiglia d’origine.
L’evoluzione identitaria di ciascuno è segnata da un tentativo di differenzazione, intesa come capacità di mantenersi in equilibrio tra essere se stessi e il senso di appartenenza alla propria storia familiare. La transizione verso l’età adulta si realizza attraverso un processo di differenziazione reciproca tra le generazioni e attraverso un processo di individuazione correlato (D’Amore, Mulè, 2004).“La differenziazione è un processo che coinvolge l’intero sistema familiare: differenziarsi vuol dire rispondere di sé in termini di pensieri, emozioni ed azioni, a partire dalla comune appartenenza alla storia familiare. […] Ciò che attraverso il distacco – separazione nasce è la capacità di autonomia nel senso di capacità di distinguere tra sé e l’altro da sé. È nell’esercizio di questa risposta che si forma l’identità del figlio e si sviluppa quella dei genitori. La sicurezza della comune matrice (la storia delle generazioni) e l’affidabilità del legame che unisce, consentono l’avventura della differenziazione. Essa sottolinea e poi fa emergere gli aspetti di unicità, vuoi del figlio, vuoi dei genitori, sia come singoli, sia come coppia, e produce reciprocità e interdipendenza” (Scabini, Cigoli, 2000).

La capacità ultima di essere una persona autonoma, autosufficiente è direttamente collegata alla capacità di essere parte e di appartenere realmente agli altri. Appartenenza e individuazione sono interconnesse, non sono concetti antagonistici ma operano in simmetria. Più sappiamo appartenere, più avremo accesso all’individuazione (Whitaker, 1989).
Separarsi da rapporti passati significa anche correre il rischio di veder svuotata di significato la relazione attuale. Lo percepiscono molto bene le coppie in terapia quando, nonostante il malessere conseguente alle loro difficoltà, sembrano preferire l’attuale condizione al rischio di una separazione. D’altra parte sembra che solo accettando tale rischio la relazione possa evolvere, trasformandosi in un legame più maturo e soprattutto più libero da vincoli di dipendenza (Claudio
Angelo, 1999).
La costruzione dell’identità costituisce un’operazione trasversale, un continuo accomodare istanze interne con istanze esterne. Il compito identitario è quello di ricucire e riconnettere frammenti, mantenendo continuità nel cambiamento e coerenza nella diversità dell’esperienza; è, quindi, un’operazione di differenziazione, di separazione tra sé e l’altro, l’interno e l’esterno, il passato e il
presente. Durante il percorso di definizione identitaria nel presente l’individuo fa i conti di quanto riferito al suo passato e tutto ciò entra nel novero delle rappresentazioni future (Vallario, 2010).

 

Bibliografia
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