Liberiamoci dall’ossessione della perfezione Michela Marzano

Liberiamoci dall’ossessione della perfezione

Michela Marzano

ORMAI siamo quasi tutti ossessionati dalla perfezione.

Bisogna essere sempre impeccabili, all’altezza delle aspettative altrui, capaci di reagire immediatamente di fronte alle difficoltà, pronti ad andare al di là dei propri limiti. Come se il nostro valore dipendesse sempre e solo dalla capacità che mostriamo di avere nel “gestire” il nostro corpo, nel “controllare” le nostre emozioni, nell'”essere padroni” del nostro futuro. Cosa accade allora quando ci rendiamo conto che non ce la facciamo più, che non siamo onnipotenti, che non basta “volere” per “potere”, che la realtà “resiste”, e che siamo, in fondo, fragili e vulnerabili?

L’IMPERFEZIONE, in sé, non è un problema. Ogni essere umano è per definizione fragile. Anche semplicemente perché nessuno di noi può “essere” o “avere” tutto. C’è sempre qualcosa che ci manca, che vorremmo avere, che non avremo mai. C’è sempre un ideale da raggiungere, uno scopo da realizzare, una persona che ci delude.

Anche se “l’astuzia della ragione”, come direbbe Hegel, consiste nel farci credere che sappiamo sempre e comunque ciò che vogliamo, esiste in realtà un’opacità strutturale del nostro desiderio che ci rende insoddisfatti. Cresciamo, maturiamo, invecchiamo. Ma prima o poi, la maschera che ci siamo costruiti cade. E allora ci rendiamo conto che, forse, non siamo veramente quello che pensavamo di essere. Anzi, è proprio a forza di agire “come se” la fragilità non esistesse, che ci perdiamo poi per strada un pezzetto di noi stessi.

L’essere umano non è mai una semplice “somma di competenze” più o meno sviluppate. E quelle che, da un punto di vista sociale, vengono considerate delle “riuscite”, sono poi molto spesso dei “fallimenti ritardati”, come spiegava già Georges Canguilhem. A cosa serve allora tutto quello che si ottiene, talvolta a caro prezzo, se poi un giorno ci rendiamo conto che la nostra vita è altrove, che abbiamo fatto di tutto per costruirci un “falso sé“, come direbbe Winnicott, e che nel frattempo abbiamo dimenticato chi siamo e cosa desideriamo? Talvolta è proprio nel momento in cui ci fermiamo un istante e cerchiamo di entrare in contatto con noi stessi, che ci rendiamo conto che le nostre fragilità possono diventare un punto di forza.

Perché ci aiutano a crescere e a cambiare. Perché ci rivelano qualcosa di noi che per tanto tempo, a torto, abbiamo fatto di tutto per ignorare. E se la nostra verità fosse proprio lì, in quell’imperfezione che ci portiamo dentro e che cerchiamo a tutti i costi di negare? E se fosse solo nel momento in cui rinunciamo alla perfezione che possiamo poi vivere pienamente?

Repubblica 15 giugno 2012 —   pagina 1   sezione: BOLOGNA

Commento

Cresciamo, maturiamo, invecchiamo”.

E solo quando lentamente prendiamo coscienza dell’invecchiamento cambiamo passo.

Almeno per me.

E non solo perché mi vedo limitato nei movimenti, ma soprattutto perché mi piace vivere il mio tempo.

Non ho corse da fare con il tempo, mi prendo il mio tempo per fare o per essere con la pienezza che scelgo.

È il tempo di fare il vuoto, di liberare spazio dal tanto accumulare forsennato, del prendersi cura delle cose preziose che ci appartengono, del lasciarle in eredità a chi ci è più vicino, anche se non si vedono.

È il tempo del conoscerci meglio con chi ci vive accanto, del condividere con lei la stessa sorte e le nostre imperfezioni.

Prendo la distanza dall’impellenza, scopro il mio limite, la mia mancanza, la mia imperfezione, non la nascondo, ma l’accetto.

Riconosco i miei limiti, ne faccio l’elenco, abbandono il mio “falso sè“, imparo a riconoscermi nel mio specchio e non in quello degli altri.

E forse questa è la mia forza, il mio pieno.

E lo travaso sugli altri che me lo chiedono, se posso e come posso.