Maestri. Eugenio Scalfari racconta: Vittorio Gassman, Marcello Mastroianni e l’arte di invecchiare

Maestri. Eugenio Scalfari racconta: Vittorio Gassman, Marcello Mastroianni e l’arte di invecchiare

di Eugenio Scalfari

 

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Il fondatore di “Repubblica” riflette sul tempo che passa. E ricorda il suo celebre incontro con i due grandi attori in cui si parlò di questo tema

22 Gennaio 2022

 

Ho passato una notte agitata, piena di pensieri e di riflessioni. Mi sono chiesto con curiosità se la causa potesse essere la vecchiaia. Eppure, questo scorcio di vita che mi rimane da vivere lo sto attraversando nella più serena armonia. Non mi muovo più tanto da casa, ho dei rari incontri con pochi amici, ma sono contornato da persone che mi amano e che io amo. Già. la vecchiaia. Come ci si convive e cosa diamo noi vecchi ai nostri affetti, se non ricordi più o meno vivi o giustamente corretti dalle persone che ci sono vicine e ci conoscono forse meglio di noi? I pensieri ci permettono di far lavorare il cervello e di intavolare un discorso. Importante, attuale o no non conta, purché l’evoluzione di questo pensiero porti a un discorso fatto di parole. Perché le parole sono fondamentali almeno quanto le espressioni del volto e l’uso delle mani. E da uno sguardo o dal gesticolare delle mani si possono capire tante cose.

Dicevamo, la vecchiaia. Mi torna in mente d’aver affrontato questo tema con tanta passione con personaggi importanti della nostra società, dell’arte e del cinema. Nel lontano 1996, ad esempio, ebbi un incontro con Marcello Mastroianni e Vittorio Gassman. Fu molto interessante e mi piacerebbe riproporne i punti salienti perché credo che oggi si dia poco spazio al problema della vecchiaia. Se potessi incontrarli di nuovo affronterei gli stessi argomenti trattati allora, ma probabilmente le risposte sarebbero diverse. Oppure no, chissà. Quel che è certo è che solo dai racconti dei nostri anziani si può imparare ad affrontare la vita, attraverso l’esperienza tramandata da chi ci ha preceduto. Facciamo tesoro delle rare occasioni che la vita ci propone. Ascoltiamo le persone anziane perché un giorno lo saremo noi, e toccherà a noi indicare la strada per una vita migliore ai nostri figli e nipoti.

Era il 1996, avevo invitato Gassman e Mastrioianni in una saletta del Grand Hotel di Roma per una chiacchierata a tema libero, che si sarebbe poi conclusa con una colazione. Avevamo allora tutti e tre circa la stessa età, intorno alla settantina. Ricordo che li salutai dicendo che in tre superavamo i due secoli, ma loro non raccolsero.
Non ci eravamo mai incontrati anche se loro sapevano parecchio di me e io quasi tutto di loro, i film che avevano fatto, le pièce teatrali che avevano interpretato, i grandi amori, le fugaci avventure, le pieghe del volto, i timbri della voce.

Mastroianni camminava a piccoli passi con le spalle leggermente curve; portava occhiali cerchiati di tartaruga, era visibilmente dimagrito e invecchiato. Poco dopo, a passi lunghi, spalle erette, era entrato Gassman: magro anche lui ma atletico, la faccia solcata da cento rughe sottili come quelle della mela renetta quando è al colmo della maturità.

Ma ricordo anche che quei temi — la vecchiaia, il tempo, la memoria — non avevano alcuna voglia d’affrontarli. Ci giravano intorno, li smitizzavano, li sdrammatizzavano. Così hanno continuato a fare per tutte le tre ore che abbiamo trascorso insieme.

Che cosa ricordo di quel pomeriggio? Mastroianni che dice che la vecchiaia t’arriva addosso quando nemmeno te l’aspetti: «A un certo punto ti cominciano a chiamare maestro. Maestro di che? dico io. E mi rispondono: è per rispetto». E ricordo, mentre Marcello ragionava su quel passaggio, («sarà qualche rotellina dell’ingranaggio che non funziona più come un tempo, sarà una piega della bocca, una ruga in mezzo alla fronte, non so: un modo diverso di guardare le donne, più dolce, meno aggressivo»), Gassman che lo interrompe. E dice: «Hai fatto caso che dopo esser sempre stato per tanti anni il più giovane della compagnia, a un certo punto, in sei mesi, diventi improvvisamente il più vecchio? E capisci che da quel momento in poi sarà sempre così, sarai il più vecchio, ti guarderanno con rispetto se ti va bene e se i giovani che ti frequentano sono bene educati, oppure con una certa compassione, con un sentimento anche protettivo, con la voglia di mandarti a letto presto per paura che ti stanchi o magari perché sono loro a essersi stancati di te».
Ancora, ricordo che si parlò di donne, con loro — protagonisti di storie e avventure indimenticabili — che si lamentavano degli sguardi femminili “materni” che ora ricevevano, altro segno dell’arrivo della vecchiaia. E di figli, anche loro via via più protettivi.

A ripensarci ora, quasi trent’anni dopo, con Marcello e Vittorio ormai andati da tempo, quei pensieri sulla vecchiaia mi fanno quasi sorridere. E capisco la loro iniziale ritrosia a parlarne. È vero che il tempo stava passando in fretta, come per ciascuno di noi, ma avevano elaborato un sistema per ingannarlo. Che è in fondo il sistema che tutti adottiamo, alcuni con più fortuna di altri. E questo sistema è il lavoro. Oggi rileggo con altri occhi le parole di Mastroianni di quel giorno: «Il nostro, di attori, è soprattutto un gioco. Vede del resto come si dice in altre lingue: in francese si dice: jouer, in inglese play, gioco, giocare. Questo è il teatro, che sia commedia o sia tragedia o sia cinema, sempre gioco». «Anche la vita è gioco». «Io ne sono convinto». «Dunque la vita è teatro?». «Per molti aspetti credo di sì».

Chissà se davvero la loro arte li ha aiutati a ingannare, se non il dolore, la sindrome dell’abbandono di Marcello, la depressione di Vittorio. O almeno il tempo. Ma ricordo che su questo tema continuarono a giocare. Dissero quasi all’unisono che tutti ci figuriamo delle storie delle quali siamo protagonisti, delle passioni che in realtà non abbiamo, coltiviamo illusioni inesistenti e questo non è un privilegio degli attori.

La verità, dissero, è che la vita, quella vera, è molto breve: uno ricorda ancora i discorsi dei genitori, il beato periodo dell’infanzia come fosse ieri e in un attimo si accorge di come il tempo sia volato e la barba è diventata bianca. Ricordo che Gassman rimproverò al Padreterno di averci dato una vita troppo corta e unica e che lui ne avrebbe volute due. E parlammo delle scoperte della scienza che avrebbero allungato la vita (ho letto proprio pochi giorni fa che Jeff Bezos, il proprietario di Amazon sta investendo miliardi in progetti del genere).

Ma poi, mi chiedo ancora oggi, che cosa cambierebbe? Trenta, cinquant’anni di più, passerebbero in un baleno. Chissà se avevate ragione voi, vecchi amici attori, a non prendere troppo sul serio questa storia della vecchiaia ben sapendo che nessuna vita sul palcoscenico, nessun personaggio rubato alla fantasia può ingannare il tempo né la vita. E chissà se ora da qualche parte avete messo su quel progetto di una casa di riposo per vecchi attori e vecchi registi, per chiacchierare un po’ tra voi, per continuare a giocare, per restare a tutti i costi bambini…

evidenziamento mio