Nessun terapeuta potrà essere più importante per un bambino di quanto lo siano sua madre e suo padre


Conversazioni sulla psicoterapia, Cancrini-Vinci  Alpes Italia N

VINCI Nessun terapeuta potrà essere più importante per un bambino di quanto lo siano sua madre e suo padre, persino quando questi siano palesemente inadeguati. Abbiamo tante volte osservato il figlio di genitori gravemente problematici, esposto ai loro errori e alle loro mancanze, che li protegge e li difende dalle critiche altrui.

CANCRINI È necessario, ma anche più utile e più semplice che il terapeuta aiuti i genitori ad aiutare il bambino in difficoltà. Ci saranno anche situazioni in cui invece bisognerà che i genitori si mettano da parte, ma il contesto interpersonale del bambino è fondamentale: lui non ha in sé le malattie, lui è ancora “totipotente”, può svilupparsi in tutte le direzioni, può diventare tante diverse persone. Può andare incontro alla salute o al disturbo mentale in rapporto a ciò che trova intorno a sé, all’aria che respira nel suo ambiente.

C’è chi pensa che in tutto questo ci siano aspetti geneticamente determinati, ma aspettiamo che dimostrino in che modo. Certo è invece il fatto che il trattamento dei disturbi del bambino con la terapia familiare semplicemente funziona.

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VINCI Stiamo dicendo che sommando la carenza di cure adeguate nel contesto familiare alla mancanza di interventi e terapie adeguate disponibili nel contesto sociale, si determinano le condizioni di sofferenza attuale del bambino e di malfunzionamento futuro dell’adulto che egli sarà, ovviamente non in maniera meccanica, poiché le infinite circostanze della vita – anche quelle fortuite – possono svolgere una funzione riparativa delle mancanze subite in precedenza. Penso ora al ruolo positivo, che in tanti casi può avere un incontro con un insegnante, un allenatore o un nuovo amico, insomma una qualsiasi figura che diventi importante per il bambino e ne metta in moto le parti positive, magari rendendolo resiliente[1].Viceversa, può succedere che non accada nulla di riparativo, e che l’adulto che quel bambino diventerà, tenderà a ripetere nelle sue relazioni affettive gli stessi modi maltrattanti o trascuranti, trasmettendo da una generazione all’altra i disturbi e le sofferenze che ne derivano.

CANCRINI         Per ragioni etiche non sarà mai possibile dimostrarlo con degli esperimenti ad hoc, ma io credo che noi oggi, ragionando sui dati proposti dalla clinica cominciamo a poter dire con una certa sicurezza che è così, e che continua ad essere così, purtroppo, anche nella cultura all’interno della quale viviamo, che sembra aver sviluppato, nei confronti del dio-bambino, forme di vera e propria venerazione. Continua a essere così a causa delle disparità sociali, delle povertà che privano molte famiglie di opportunità essenziali per i bisogni dei minori e, soprattutto, delle patologie o delle immaturità di troppi adulti (come ben dimostrato da ciò che accade anche nelle famiglie economicamente più fortunate, in cui troviamo bambini coperti di beni materiali e trascurati o stressati per ragioni e obiettivi che appartengono più ai bisogni dei genitori che non ai loro); sia le prime che le seconde sono condizioni che produrranno sofferenze negli adulti che quei bambini saranno: una catena che può essere spezzata solo curando i bambini feriti di oggi. Chi oggi si ponga il problema della prevenzione non può che partire da qui. È una prospettiva difficile, ma di estremo interesse e senza alternative.

VINCI  Spezzare la catena di riproduzione del disagio da una generazione all’altra, che tante volte osserviamo intorno a noi, può sembrare una grandiosa utopia. Da un altro punto di vista, è solo un nuovo passaggio di civiltà verso il quale stiamo già lentamente procedendo, almeno da quando -grazie ai cambiamenti sociali, di cui le conoscenze psicologiche sono insieme effetto e causa – abbiamo progressivamente compreso l’importanza dei primi anni di vita e abbiamo imparato a considerare il bambino un soggetto di diritti, e non un animaletto da addestrare con la frusta e con lo zuccherino”.

Conversazioni sulla psicoterapia, Cancrini-Vinci  Alpes Italia

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Commento

Ho sempre pensato, ed ora ne sono convinto di più, con l’esperienza di genitore, insegnante, e psicoterapeuta che quello che può fare un genitore per il proprio figlio, non lo può fare meglio uno psicoterapeuta.

I bambini sono per loro natura plastici, “totipotenti”, vivono adattandosi o ribellandosi prima di tutto nel loro contesto familiare. E’ lì che si decide soprattutto, anche se non del tutto, il loro destino. Meglio aiutare i genitori ad essere genitori adeguati e capaci per i loro figli, piuttosto che smistare i bambini per essere osservati dall’uno all’altro degli “specialisti”, che fatta una sterile diagnosi, li riportano al punto di prima. E questo vale anche nel contesto scolastico, dove appena si “diagnostica” un bambino “difficile”, sulla base di pronti protocolli di osservazione, lo si indirizza sbrigativamente verso lo psicologo per la cura conseguente.

Io da parte mia, quando genitori mi chiedono se lavoro con i bambini, umilmente rispondo che è meglio lavorare con i genitori. Solo loro possono essere più efficaci a produrre cambiamenti nei loro figli, se fossero più capaci e attenti osservatori di quel che succede nel loro contesto familiare.


[1] La resilienza, in psicologia, è la capacità di resistere a condizioni avverse o traumatiche e sviluppare comunque buone o eccellenti qualità personali. Di solito è legata alla presenza, nel contesto allargato, di punti di appoggio diversi da quelli che avrebbero dovuto svolgere una funzione protettiva e che invece sono stati carenti, ma capaci di dare  l’accudimento necessario.