“Non preoccupiamoci troppo. In fondo non siamo noi a curare i nostri pazienti. Noi semplicemente stiamo loro vicini e facciamo il tifo mentre loro curano se stessi.” Erich Fromm

 

“Non preoccupiamoci troppo.

In fondo non siamo noi a curare i nostri pazienti.

Noi semplicemente stiamo loro vicini

e facciamo il tifo mentre loro curano se stessi.”

Erich Fromm

Il terapeuta segua il paziente, “tre passi indietro”. Non lo preceda e non tracci lui il percorso, ma piuttosto sostenga il processo.
Eric Berne

 

 

Paziente e psicoterapeuta si incontrano, entrambi sconosciuti l’uno all’altro, anche se l’uno, il paziente, il più delle volte fa una ricerca preliminare dello psicoterapeuta, tramite pubblicità o perché indicato da conoscenti. Ma è sempre un incontro fra sconosciuti che si relazionano con uno scopo ben preciso: il benessere del paziente, ricercato dall’uno e promesso dall’altro. Ma promesse e aspettative spesso possono essere fuorvianti, non sempre si accordano, perché si fondano sull’illusione che il saper fare dello psicoterapeuta garantisce il risultato cercato e sperato dal paziente, il suo benessere. E’ la storia di tanti pazienti che giungono in terapia con l’idea magica che qualcuno li salverà. Ma non è cosi, nonostante la propaganda diffusa di tanti psicoterapeuti.

La relazione terapeutica non è mai definita sulla base di una netta differenziazione dei ruoli di sapere e di potere, ma è una relazione in divenire, perché i protagonisti coinvolti non sono definiti in modo statico secondo i ruoli.

“Ogni volta che sediamo di fronte a un paziente, la nostra relazione è notevolmente più profonda di quanto al momento ci rendiamo conto e si articola in molte più direzioni di quelle che emergono nell’immediato”.[1]

Il fare e l’essere del terapeuta è diverso da quello del paziente, ognuno ha un suo compito differenziato, finalizzato a raggiungere il cambiamento del comportamento sintomatico. Anche se il più delle volte implicitamente, fra terapeuta e paziente si stabilisce un patto, una relazione di alleanza terapeutica, prevedendo una differenziazione di compiti. Se al terapeuta spetta il compito di prospettare il quadro di insieme entro cui si muove il paziente con i suoi vissuti relazionali, con le sue aspettative e con le sue interpretazioni, al paziente spetta il compito di fare scelte operative e significative di cambiamento. Sua deve essere la responsabilità di fare il percorso, magari mediante tentativi ed errori. L’importante, dopo tanto analizzare e confrontarsi con il terapeuta, è alzarsi e iniziare il percorso di cambiamento, anche se possono esserci inciampi, cadute e ricadute, che non sono errori, ma informazioni utili.

Il patto di alleanza terapeutica prevede che la responsabilità del percorso terapeutico è del paziente, decide lui quando è il tempo di muoversi, di mettersi in cammino, se quanto pensato e ipotizzato con il terapeuta ha la possibilità di essere realizzato. Per questo il terapeuta sceglie di stare tre passi dietro, lascia libero il paziente di sperimentare e sperimentarsi nelle sue capacità di cambiamento. Tre passi indietro, ma attento osservatore dei passi del cammino del paziente, se sono insicuri, o troppo avventati, se sono misurati, o impulsivi.

Comunque alla fine bisogna prendere atto l’impegno maggiore in una psicoterapia è quello del paziente, perché se il terapeuta lo aiuta a rientrare in se stesso, tocca ha lui alzarsi e andare facendo un nuovo percorso di vita e di scelta.

[1]Dimensioni cliniche e modelli teorici della relazione terapeutica, a cura di Camillo Loriedo e Patrizia Moselli – Franco Angeli – Milano 2009