Giuseppe Basile ha caricato un file nel gruppo: Amici della Bottega dello Psicoterapeuta.PI paesaggi dell’anima sono misteriosi e invisibili; e non è facile andare alla loro ricerca: compito inesauribile e mai finito.
In questi paesaggi si nascondono le infinite emozioni che danno un senso alla vita: emozioni ardenti e appassionate, umbratili e crepuscolari, patetiche e lancinanti, angosciate e tristi, dolorose e strazianti, alate e smarrite, luminose e oscure, fredde e ghiacciate, intense e opache, dicibili e indicibili, decifrabili indecifrabili. Non ci sono confini nella descrizione e nella analisi delle emozioni, delle loro diverse forme, e delle loro diverse risonanze personali e interpersonali.
Andare alla ricerca dei paesaggi dell’anima, degli invisibili paesaggi dell’anima, significa insomma andare alla ricerca delle emozioni: delle loro cifre tematiche e dei loro orizzonti di sensi dei loro significati.
Cosa che intendo fare in questo mio discorso fenomenologico e antropologico; ma iniziando dalla riflessione sulla natura della psichiatria: sull’oggetto della psichiatria. Se questa rientra e si esaurisce nel circolo delle neuroscienze, non ha senso continuare a parlare di vita psichica e di funzioni psichiche. La psichiatria non è più discorso sull’anima: sulle sue ferite e sulle sue lacerazioni.
Il discorso sulla ragione d’essere della psichiatria, che viene svolto nella prima parte del lavoro, è premessa necessaria agli svolgimenti della seconda parte: indirizzati a indicare come non sia possibile avvicinarsi ai temi e ai problemi, che rinascono ogni giorno dalla vita (dalla vita lacerata dalla sofferenza e di l’angoscia in particolare), se non immergendo ogni incontro con l’altro-da-noi in un dialogo che trasformi contemporaneamente sia chi parla sia chi ascolta, e in un contesto ermeneutico (in un contesto animato dal fluire ininterrotto della interpretazione) che si confronti con il deserto dei significati.
Non ci sono, cioè, fenomeni psichici, immagini e pensieri, emozioni e modi di essere, che non abbiano bisogno di interpretazione (di ermeneutica): intesa a cogliere e a portare alla luce del senso i significati nascosti nella vita: nella vita segnata dalla malattia e nella vita non-malata”.
Eugenio Borgna – Le interruzioni del cuore, Feltrinelli
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Commento
Avevo comprato anni fa questo testo di Eugenio Borgna, Le interruzioni del cuore, ma poi, chissà perché, messo da parte appena sfogliato. Rifacendo ordine nella mia libreria, me lo ritrovo fra le mani e comincio nuovamente a sfogliarlo, ma questa volta incuriosito, attratto e interessato. Perché prima no, oggi sì? Penso, anche questo è un passaggio dell’anima di cui parla Eugenio Borgna nell’introduzione del suo libro. Non basta però prendere atto di due emozioni diverse, se si vuol capire il senso di un movimento interiore. Perché prima no, oggi si? Bisogna porsi la domanda e cercare la risposta per crescere nella conoscenza di sé e degli altri con cui siamo in relazione. Niente ci accade casualmente, specialmente nella nostra interiorità, solo che abbiamo smesso di fermarci, stiamo disimparando a fermarci e pensare, trascinati dalla corsa frenetica e alienante all’insegna dei social media.
Nel mio caso è successo di aver trovato in un susseguirsi di flash, una corrispondenza fra quello che ho acquisito da qualche anno nell’esercizio del mio lavoro professionale di psicoterapeuta e quello che dice Eugenio Borgna: che la psicoterapia è ricerca, nel senso scientifico del termine, “intesa a cogliere e a portare alla luce del senso i significati nascosti nella vita: nella vita segnata dalla malattia e nella vita non-malata”.
Ma non una ricerca astratta e unilaterale, ma una ricerca fatta, almeno in due, con l’altro che si affida a te, e che è e deve essere parte attiva anche se a modo suo. La psicoterapia è una relazione con “l’altro da noi”, un incontro unico, “un dialogo che trasformi contemporaneamente sia chi parla sia chi ascolta, e in un contesto ermeneutico (in un contesto animato dal fluire ininterrotto della interpretazione) che si confronti con il deserto dei significati”
La psicoterapia perciò non è fondamentalmente una tecnica, un saper fare acquisito, un bagaglio di conoscenze e di tecniche, oggi sempre più diffuse nel mondo della psicologia, applicabili uniformemente ai soggetti classificati e diagnosticati. Come ogni persona è unica, così è unico l’incontro psicoterapeutico. Ho smesso di fare diagnosi classificatorie, per non costringere la conoscenza di una persona in un quadro prestabilito, e ho smesso di usare la parola “caso”, perché l’altro non è un caso da studiare, da analizzare, ma fondamentalmente una persona da aiutare, e non è detto che ci si riesca, almeno io.