Per ora può bastare
Gabriella Caramore
Ora sto qui. Seduta al mio tavolo di lavoro, piccolo e ingombro, come sempre. Distratta ogni tanto dai limoni sul terrazzino che luccicano dopo la pioggia, e da una folla di pensieri vaganti.
Faccio la vita di sempre. Cerco volti e parole. Leggo. Scrivo quando mi riesce. Cerco di rispondere a chi mi chiede presenza. Ricordo. Cammino per la città, e appena posso, troppo di rado, mi fermo a respirare alberi e nuvole. Fronteggio le incombenze quotidiane. Tutto come sempre. Solo un po’ meno.
Un po’ meno tenuta del corpo, e più fatica e tempo per curare, aggiustare, prevenire.
Un po’ meno famiglia. È più difficile incontrarsi, anche perché tutti invecchiamo un po’, i nipoti si fanno grandi, costruiscono altre vite. E soprattutto alcuni non ci sono più. Continuo a portarli con me, pensarli, incontrarli. A volte i ricordi fanno male. Altre volte accarezzano. Ma continuano a essere presenti in qualche angolo della notte, ci accompagnano nel movimento dei nostri pensieri. Anche gli amici scompaiono, uno a uno. E sono pezzi di mondo che se ne vanno. Resistono i più giovani, che ci regalano sensazioni di vita. Ma siamo noi che avvertiamo una distanza, e poco per volta facciamo qualche passo indietro.
C’è qualcosa, invece, che aumenta. Aumenta l’insicurezza sul tempo che resta. L’incognita su quanto durerà un tempo come ora, in cui la vita è ancora vita, e abbiamo sdegno per il male, e un piacere infinito per il bene. E l’incognita su come sarà la fine. Del resto, «quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre» (Marco 13,32).
E un’altra incognita pesa, per quanto mi riguarda. Fino a questo momento abbiamo quella che possiamo chiamare una qualche felicità di essere in due a condividere le ore. Non sappiamo chi dei due se ne andrà per primo. E come saprà affrontare la perdita e la solitudine. Ma per ora, e spero a lungo, siamo insieme, siamo vivi, il mondo c’è, e possiamo sperare che quelli che verranno sappiano fare meglio di come abbiamo fatto noi. E ancora sappiamo dare sapore al quotidiano, abbiamo il gusto di ridere, e, come dicevano gli antichi padri, il «dono delle lacrime.
Per ora può bastare.
Gabriella Caramore L’età grande Garzanti
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Commento
Ultima pagina del libro di Gabriella Caramore e ultimo ammonimento. Per ora può bastare, perché non c’è da aggiungere altro a quanto ho pensato e scritto. A me ha dato molto con la sua riflessione pacata e nello stesso tempo mi sono sentito confermato e confortato perché le sue sono anche le mie riflessioni.
Vero che nella vecchiaia che avanza l’essere famiglia allargata si riduce gradualmente. Si vive la solitudine, figli e nipoti che vivono lontani, la distanza fisica delle abitazioni, gli amici più anziani che se ne vanno. Si allarga sempre più la distanza relazionale, la compagnia si riduce, sia quella familiare, sia quella amicale. Fortunati quelli che continuano per passione, attività e impegno lavorativo, anche se ridotti, come antidoto contro i danni mentali della vecchiaia. Solo per questo io tengo aperto ancora lo studio, pronto ad aprire se qualcuno bussa alla porta e lo ringrazio per l’opportunità che mi dà di farmi sentire vivo e non ancora rassegnato. Anche se “aumenta l’insicurezza del tempo che avanza”, e di come sarà il domani e il posdomani. Specialmente se si resta soli, quando la coppia non c’è più, e il tempo che scorre sempre più velocemente.
“Vale anche qua quanto sta scritto nel Qoelet:
Meglio essere in due che uno solo,
perché due hanno un miglior compenso nella fatica.
Infatti, se vengono a cadere, l’uno rialza l’altro.
Guai invece a chi è solo: se cade, non ha nessuno che lo rialzi.
Inoltre, se due dormono insieme, si possono riscaldare;
ma uno solo come fa a riscaldarsi?”