Perdono mio padre, il Sudafrica, e me stesso
Desmond Tutu
Ci sono state moltissime sere, quando ero bambino, in cui dovetti assistere senza poter fare nulla a mio padre che insultava e picchiava mia madre. Ricordo ancora l’odore di alcol, vedo ancora la paura negli occhi di mia madre e sento ancora la disperazione infinita che proviamo quando vediamo persone che amiamo farsi del male a vicenda in modi che non riusciamo a comprendere. È un’esperienza che non augurerei a nessuno, e meno che mai a un bambino. Quando mi soffermo su questi ricordi, mi trovo a desiderare di fare del male a mio padre come lui lo faceva a mia madre, e come io non ero in grado di fare da bambino.
Vedo il viso di mia madre e vedo questo essere umano gentile, che amavo tantissimo e che non aveva fatto nulla per meritarsi la sofferenza che le veniva inflitta.
Quando rievoco questa storia, mi rendo conto di quanto sia difficile perdonare veramente. A livello intellettuale, so che mio padre causava sofferenza perché lui stesso soffriva. A livello spirituale, so che la mia fede mi dice che mio padre merita di essere perdonato come Dio perdona tutti noi. Ma è comunque difficile. I traumi a cui abbiamo assistito o che abbiamo sperimentato vivono nei nostri ricordi. Perfino a distanza di anni, possono causarci nuovo dolore ogni volta che li rievochiamo.
Se scambiassi la mia vita con quella di mio padre, se avessi provato le tensioni e le pressioni che provò lui, se avessi dovuto sopportare i fardelli che sopportò lui, mi sarei comportato come si è comportato lui? Non lo so. La mia speranza è che sarei stato diverso, ma non lo so.
Mio padre è morto da molto tempo, ma se oggi potessi parlargli vorrei dirgli che lo avevo perdonato. Che cosa gli direi? Comincerei ringraziandolo per tutte le cose meravigliose che faceva per me come padre, ma poi gli direi che c’era questa cosa che mi faceva molto male. Gli direi quanto mi feriva quello che faceva a mia madre, quanto mi faceva soffrire.
Forse mi ascolterebbe fino in fondo, forse no. Ma comunque lo perdonerei.
Il perdono richiede pratica, sincerità, apertura mentale e disponibilità (anche se faticosa) a provare. Non è semplice. Forse avete già provato a perdonare qualcuno e non ci siete riusciti. Forse avete perdonato e la persona perdonata non ha mostrato rimorso, né ha modificato il suo comportamento o ammesso i suoi torti, e voi vi trovate di nuovo a non riuscire a perdonare. È perfettamente normale voler fare del male quando si è subìto del male. Ma restituire male per male raramente dà soddisfazione. Pensiamo che ci darà soddisfazione, ma non è così.
Negli anni ’60, il Sudafrica era nella morsa dell’apartheid. Quando il Governo promulgò il Bantu Education Act, istituendo un sistema scolastico di grado inferiore per bambini neri, io e Leah smettemmo di insegnare in segno di protesta. Giurammo che avremmo fatto tutto quello che era in nostro potere per garantire che i nostri figli non fossero mai sottoposti a quel lavaggio del cervello che in Sudafrica spacciavano per istruzione. Iscrivemmo i nostri figli nelle scuole del confinante Swaziland. Sei volte all’anno percorrevamo in auto i quasi mille chilometri che separano Alice, nella provincia del Capo Orientale, da Krugersdorp, vicino Johannesburg, dove vivevano i miei genitori. Dopo aver trascorso la notte da loro, guidavamo per altre cinque ore fino allo Swaziland, lasciavamo o prendevamo i bambini alle rispettive scuole e tornavamo a Krugersdorp per fare tappa, prima del lungo viaggio di ritorno verso casa. Non c’era nessun albergo o locanda che accettasse clienti neri, per nessun prezzo.
Durante uno di questi viaggi, mio padre mi disse che voleva parlare. Io ero sfinito. Eravamo a metà del viaggio e avevamo guidato 10 ore per lasciare bambini a scuola. Il sonno si faceva sentire. Avevamo ancora altre 15 ore di viaggio da fare per tornare a casa nostra, ad Alice. Guidare attraverso il Karoo, la vasta distesa semidesertica al centro del Sudafrica, era sempre sfiancante. Dissi a mio padre che ero stanco e avevo mal di testa. «Parleremo domani mattina», gli dissi. Andammo nella casa della madre di Leah, a mezz’ora da lì. Il mattino dopo, mia nipote venne a svegliarci con la notizia che mio padre era morto.
Ero sconvolto dal dolore. Amavo molto mio padre e anche se il suo carattere mi causava grandi sofferenze, c’era in lui molto amore, saggezza, intelligenza. E poi c’era il senso di colpa. Con la sua morte improvvisa non avrei mai potuto ascoltare quello che voleva dirmi. Forse aveva un gran peso sul cuore che voleva rimuovere? Forse voleva chiedere scusa per le angherie che aveva inflitto a mia madre quando ero bambino? Non lo saprò mai. Mi ci sono voluti moltissimi anni per perdonarmi per la mia insensibilità, per non aver fatto omaggio a mio padre un’ultima volta di quei pochi istanti che voleva condividere con me. Il senso di colpa mi brucia ancora.
Quando ripenso a quegli anni lontani, alle sue sfuriate da ubriaco, mi rendo conto che non era solo con lui che ero arrabbiato. Ero arrabbiato con me stesso. Rannicchiato in un angolo, spaventato, non ero in grado di fronteggiare mio padre o proteggere mia madre. E così, a molti anni di distanza, mi rendo conto che non devo perdonare solo mio padre, devo perdonare me stesso.
Una vita umana è uno splendido intreccio di bontà, bellezza, crudeltà, sofferenza, indifferenza, amore e tantissimo altro. Tutti noi possediamo le caratteristiche di fondo della natura umana, e dunque a volte siamo generosi e a volte egoisti, a volte siamo premurosi e a volte sconsiderati, a volte siamo gentili e a volte crudeli. Questa non è un’opinione, è un fatto.
Nessuno nasce bugiardo, o stupratore, o terrorista. Nessuno nasce pieno di odio. Nessuno nasce pieno di violenza. Nessuno nasce con meno gloria o meno bontà di voi o di me. Ma ogni giorno, in ogni situazione, in ogni dolorosa esperienza di vita, questa gloria e questa bontà possono essere dimenticate, messe in ombra, perdute. È facile farci soffrire, distruggerci, ed è bene ricordarsi che è altrettanto facile essere quelli che fanno soffrire e distruggono. La semplice verità è che tutti commettiamo degli errori e tutti abbiamo bisogno di essere perdonati. Non esiste una bacchetta magica da agitare per tornare indietro nel tempo e cambiare quello che è successo o cancellare il male che è stato fatto, ma possiamo fare tutto quello che è in nostro potere per correggere le cose che sono state fatte male. Possiamo sforzarci di fare in modo che il male non accada di nuovo.
Ci sono momenti in cui tutti noi abbiamo agito in modo sconsiderato, egoista o crudele. Ma nessuna azione è imperdonabile; nessuna persona è irredimibile. Eppure non è facile ammettere i propri torti e chiedere perdono. «Ti chiedo scusa» sono forse le tre parole più difficili da pronunciare. Possiamo trovare scuse di ogni sorta per giustificare quello che abbiamo fatto. Quando siamo disposti ad abbassare le nostre difese e guardare con onestà alle nostre azioni, scopriamo che c’è grande libertà nel chiedere perdono e grande forza nell’ammettere di aver sbagliato. È così che ci liberiamo dai nostri errori passati. È così che possiamo avanzare verso il futuro, senza la zavorra degli errori che abbiamo commesso.
©Desmond Tutu (Traduzione di Fabio Galimberti)
Repubblica 27 marzo 2014
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“La semplice verità è che tutti commettiamo degli errori e tutti abbiamo bisogno di essere perdonati”. Errori che il più delle volte commettiamo senza piena consapevolezza, senza malvagità, senza malizia, ce ne rendiamo conto dopo, che un certo nostro comportamento può aver ferito o addirittura avere procurato un danno all’altro, specialmente se l’altro è un familiare a noi vicino. Ma il padre di Desmond Tutu, si potrebbe obiettare, era lucido quando faceva violenza fisica alla moglie e psicologica al figlio.
Vero, non è giustificabile, in nessun modo, né si tratta di sminuirne la gravità di un simile comportamento. Rimane senza risposta il perché di tanta violenza se ancora il bambino cresciuto, diventato adulto, la ricorda come di un trauma subito e ancora vivo e attivo, anche se apparentemente dimenticato, per il fatto che non se ne parli più. Sono convinto anch’io che “nessuno nasce bugiardo, o stupratore, o terrorista. Nessuno nasce pieno di odio. Nessuno nasce pieno di violenza. Nessuno nasce con meno gloria o meno bontà di voi o di me”, ma sono altrettanto convinto che lo diventiamo nel corso della vita, degli avvenimenti e della storia che abbiamo vissuto, ma senza conoscerla e forse dimenticata.
Non possiamo trascurare che ognuno di noi è anche figlio dell’inconscio. Quale miscuglio di sentimenti, bisogni, desideri, aspettative, privazioni, sofferenze, di ingiustizie subite si nasconde depositato nel fondo del nostro inconscio, che comunque a modo suo si attiva, anche se in modo non appropriato, reclamando un diritto di esistenza.? Facile scagliare la prima pietra contro il colpevole, ma chi è senza colpa? Non lo sappiamo, sappiamo solo che prima o poi dobbiamo fare i conti fra quello che abbiamo ricevuto e quello che ci è mancato.
Sarebbe bello poterli fare con coraggio e umiltà fin quando siamo in tempo utile, altrimenti ci rimane il rammarico dell’impotenza e della delusione. Per questo, penso, che Desmond Tutu oltre a perdonare il padre e il Sudafrica, perdona anche se stesso, la cui colpa, riconosce, è quella di essere stato insensibile alla richiesta del padre di fare i suoi conti con il figlio. Sarebbe cambiato qualcosa? Non si sa. Si sa che è rimasto il rammarico, la mancanza di pietà verso il padre e verso se stesso.
Quando faccio terapia familiare, prima o poi, puntualizzo positivamente la scelta della famiglia di aver avuto il coraggio e la fortuna di trovarsi assieme a riconoscersi tutti sofferenti, ognuno con il suo ruolo e con le sue mancanze a fare i conti, ristabilendo nuovi equilibri e nuove relazioni.