1 Poi, una mattina, mio padre era scomparso
Non come la coppia di nonni già anziana prima della mia nascita, non come quando un incidente o un infarto chiudono una vita. La morte è un punto fermo, mentre la scomparsa è la mancanza di un punto, di qualsiasi segno di interpunzione alla fine delle parole. Chi scompare ridisegna il tempo, e un circolo di ossessioni avvolge chi sopravvive. Mio padre, quella mattina, aveva deciso di scivolare via, aveva chiuso la porta in faccia a me e a mia madre, immeritevoli di saluti e spiegazioni. Dopo settimane di immobilità nel letto matrimoniale, si era alzato, aveva spento la sveglia puntata alle sei e sedici, era uscito di casa e non era piú tornato.
[…] Da tempo mio padre se ne stava rannicchiato fra le lenzuola, insieme al dolore psichico di cui nessuno mi parlava ma molto intuivo; sapevo che era lí, e che dopo la scuola avrei simulato un pranzo insieme a lui; sapevo che non avrebbe mangiato e sapevo che avrei dato a mia madre e a me stessa un’altra versione dei fatti. Ma quella mattina nel mio non guardare c’era una percezione di irrevocabilità.
Mi sono chiesta spesso se questa ricostruzione non sia un racconto che ho inventato dopo, aggiungendo quello che avevo scoperto nel pomeriggio, ovvero che mio padre se n’era andato, ma quella finta sensazione sarebbe stata comunque piú vera del vero. La memoria è un atto creativo: sceglie, costruisce, decide, esclude; il romanzo della memoria è il gioco piú puro che abbiamo. Quando ero tornata avevo avvertito fin dalla strada il nuovo furore che animava la casa, l’avevo sentito appena girato l’angolo, come il pianto di mia madre. Mia madre chiamava il nome di mio padre, appena ero entrata mi aveva aggredita e soffocata: tuo padre è andato via, tuo padre ci ha lasciate. E anche se in caserma ci avevano detto che dovevamo aspettare settantadue ore per denunciare la sua assenza, lei non aveva voluto aspettare nemmeno un giorno per denunciare a me ciò che sapeva, che sapevamo entrambe: un uomo depresso si era allontanato con coscienza e per sempre dalla vita e da noi due.
Cosí, a tredici anni ero diventata la figlia di uno scomparso: i morti veri muoiono, si sotterrano e si piangono, mentre mio padre era svanito nel nulla e per lui non ci sarebbe stato nessun 2 novembre, nessun calendario, non ne avrebbe piú avuto uno e non l’avremmo avuto neppure io e mia madre. Quell’anno non festeggiammo i morti e i nonni non vennero a visitarci. In compenso, proprio il 2 novembre a me arrivarono le prime mestruazioni. Quanto alla casa, era diventata il luogo sacro dove mio padre sarebbe potuto tornare in ogni momento, e ora mia madre voleva venderla: che ne sarebbe stato di lui, vivo o zombie o fantasma, il giorno in cui si fosse presentato alla porta, reclamando la sua metà del letto e il suo posto a tavola?
Sono passati ventitré anni, pensai. Cosa ho fatto in questi ventitré anni, dove sono stata, a chi ho dato ascolto. Potrebbe esserci accanto a me un’estranea di ventitré anni nata il giorno in cui se n’è andato, e accanto la bambina di tredici, ferma per sempre a quell’età. Guardai la ragazza, guardai la bambina. La bambina non cresceva. Non sarebbe mai cresciuta. Avrebbe continuato a fissarmi immobile per il tempo che avrei trascorso nella casa.
Nadia Terranova, Addio Fantasmi Einaudi
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Come è possibile che un uomo, un padre, improvvisamente, in un giorno qualsiasi, in un’ora qualsiasi, decida di sparire improvvisamente senza lasciare traccia di sè.? Già nel testo del racconto si dà la risposta, anche se suggerita: era un uomo depresso, aveva “dolore psichico di cui nessuno mi parlava ma molto intuivo”. Il dolore psichico così spiega tutto, perché l’atto intenzionale di uscire dalla vita della famiglia o dalla vita stessa è una scelta incomprensibile, è per definizione irrazionale, illogica. E quindi non c’è più niente da dire e da spiegare. La spiegazione è ovvia, è il comportamento di un malato di mente.
Nel racconto, anche se siamo all’inizio, non si dice altro di questo padre, né della sua storia familiare e della sua storia personale che potrebbero aiutarci se non altro a capire, si dice solo, fra le righe, che era professore di liceo, quindi un uomo di cultura. Almeno nelle prime trenta pagine del libro. L’informazione che passa con certezza è che il padre aveva “dolore psichico di cui nessuno mi parlava ma molto intuivo”, un dolore nascosto alla figlia tredicenne, quindi privata di notizie certe, ma di cui molto intuiva, costruendosi così una immagine del padre e della realtà a suo uso e consumo, forse distorta.
Fatto sta che se solo “i morti veri muoiono”, con cui si fanno i conti e con cui si convive, se c’è una “celeste corrispondenza d’amorosi sensi”, e i finti morti vivi”, apparentemente morti, che magari ti stanno vicini fisicamente, ma che sono andati via per altre strade sconosciute.
Ma quello che scompiglia l’ordine delle cose è la mancanza del punto fermo per cui tutto diventa incomprensibile per mancanza di certezze, tutto diventa il contrario di tutto: può essere morte, fuga, alienazione, perdita di memoria, vagabondaggio senza identità, un residuo dell’onda della marea della vita. La scomparsa perciò non è una morte, è ancora un’esistenza, che tormenta e che “ridisegna il tempo”, specialmente il tempo interiore, il tempo soggettivo, il tempo psicologico. Può sdoppiare l’identità: “Potrebbe esserci accanto a me un’estranea di ventitré anni nata il giorno in cui se n’è andato, e accanto la bambina di tredici, ferma per sempre a quell’età”. Due identità che convivono senza incontrarsi, ma che si alternano, quando richiamate a rappresentare la vita o a cercare risposte ai mille perchè. La figlia adulta, cresciuta senza padre che cerca di cancellare un passato senza senso e il fantasma inquietante del padre che si aggira nella sua memoria. La figlia tredicenne, che il padre l’ha conosciuto e con cui ha vissuto, che cerca di fissarne nella memoria l’immagine più pura e più rassicurante possibile. Anche se la memoria non è sempre veritiera: “sceglie, costruisce, decide, esclude; il romanzo della memoria è il gioco piú puro che abbiamo”, seguendo un’altra logica: quella delle emozioni, quella dei bisogni nascosti, quella delle aspettative silenziose.