Prendi il coraggio a due mani,
esercita tutta la tua vigilanza,
convoca tutti i doni che la natura ha voluto darti.
E poi lascia che il tuo senso del ritmo
si insinui tutto intorno
agli uomini e alle donne,
agli autobus e ai passeri,
qualunque cosa tu veda per strada,
finchè riuscirai a legarli tutti
in un insieme armonico.
Questo è forse il tuo compito:
trovare una relazione tra le cose
che sembrano incompatibili,
eppure hanno un’affinità misteriosa,
assorbire ogni esperienza senza paura
e saturarla completamente,
affinchè la tua poesia
sia un tutto invece che un frammento.
Virginia Woolf
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Se rileggiamo questi versi come una testimonianza della vita di Virginia Woolf e del suo sentire[1], allora possiamo farne una interessante lettura psicoterapeutica scoprendo una corrispondenza fra il mondo esteriore e il mondo interiore.
Prendi il coraggio a due mani.
Che non vuol dire solamente avere la forza, la convinzione, la determinazione di iniziare una psicoterapia. L’aspettativa e la speranza è una liberazione e il superamento di uno star male psichico, che può essere anche una illusione, se si pensa che uno psicoterapeuta sia come un artigiano che aggiusta le cose rotte. Prendere il coraggio significa avere la determinatezza nell’andare avanti, di mettersi in gioco, di non guardarsi indietro, anche se l’andare avanti è un percorso sconosciuto, impegnativo nel far quadrare i conti che non tornano. Il compagno di viaggio, lo psicoterapeuta, accompagna, sostiene, ricerca, vaglia assieme facendo ipotesi, ma non dirige, non sbroglia matasse attorcigliate, non dà indicazioni su quale sentiero percorrere, non propone scelte da fare, ma indica possibilità. In ultima analisi il protagonista deve essere il paziente che rassicurato da questa presenza accanto, vaglia con coraggio le possibilità migliori per una nuova nascita, anche se il percorso può apparire ed essere difficoltoso. Perciò “convoca tutti i doni che la natura ha voluto darti” per essere meglio te stesso, superando gli impedimenti che ti hanno bloccato in una perniciosa ragnatela tessuta da tante mani in un apparente disordine senza saperlo “finchè riuscirai a legarli tutti in un insieme armonico”. Il sintomo è il disordine, accumulo di storie sconosciute, di relazioni improvvisate e precarie, di libertà negate, di paure, di abbandoni, di rivendicazioni impotenti. Da qui il malessere sintomatico, il non trovare una via di uscita, la speranza di vivere in armonia.
“Questo è forse il tuo compito: trovare una relazione tra le cose, là dove apparentemente c’è un disordine caotico, una insignificanza di vita, c’è invece un intreccio di esperienze, di vite che si sono succedute, di storie scritte con inchiostro invisibile di cui noi siamo figli senza saperlo, affinché la tua poesia sia un tutto invece che un frammento. È il tutto che spiega il particolare, il frammento che vediamo e che crediamo che sia il tutto. Crescendo e vivendo cosi sconosciuti a noi stessi e agli altri, se non abbiamo la possibilità di assorbire ogni esperienza senza paura, perchè la paura vieta, impedisce, blocca, nega che ci possa essere un senso al malessere che viviamo, al sintomo che gradualmente, silenziosamente è cresciuto dentro di noi e che quando appare sembra senza un senso, caotico.
Ma non è il sintomo il male, il sintomo ha significato nascosto, è comunicazione, è messaggio, è appello alla pulizia delle incrostazioni che via via si sono depositate, è ascolto dell’Altro che chiede aiuto, che comunica con un linguaggio apparentemente incomprensibile.
A chi parla, a chi si rivolge il paziente con il suo linguaggio enigmatico fatto di rabbia, aggressività, silenzio, depressione, manie, rifiuti, solitudini, allucinazioni? Al sé sdoppiato, a chi gli sta vicino nella quotidianità, ai familiari con cui vive e con cui è in stretta relazione? Altro, che il più delle volte è un familiare, incapace di decifrare messaggi perché criptati, che hanno bisogno dell’interprete, il terapeuta, facilitato se c’è l’Altro o gli altri con cui si è in relazione.
Le cose sono in relazione (tutti noi), ci dice Virginia Woolf, nonostante le apparenze, i familiari sono in relazione, nonostante le apparenze, che sembrano incompatibili, ma che hanno invece una affinità misteriosa, un legame invisibile, un insieme armonico, se è una sana e funzionale relazione.
“Meglio essere in due che uno solo, perché due hanno un miglior compenso nella fatica. Infatti, se vengono a cadere, l’uno rialza l’altro. Guai invece a chi è solo: se cade, non ha nessuno che lo rialzi”. Ecclesiaste 4,9-12
[1] Dopo la morte di sua madre, Virginia attraversò un lungo periodo di depressione e cominciò a mostrare i primi segni della malattia mentale che caratterizzò tutta la sua vita. Morì nel 1941 suicidandosi nel fiume vicino alla sua casa