Quando il percorso psicoterapeutico arriva ad un punto di stallo – di Giuseppe Basile

Quando il percorso psicoterapeutico arriva ad un punto di stallo

Giuseppe Basile

Non sempre un percorso psicoterapeutico procede lineare e senza intoppi. Si ha a volte l’impressione di essere ad un punto di stallo come nel gioco degli scacchi, quando si ripetono le stesse mosse da parte del terapeuta e da parte del paziente. Si ha l’impressione di un camminare su un percorso sconosciuto senza vedere, anche se in lontananza, un reale punto di arrivo. Il più delle volte questa percezione è del paziente per cui abbandona la terapia perché insoddisfatto o perché troppo dolorosa o per mancanza di fiducia nello psicoterapeuta.

Ma anche lo psicoterapeuta può avere la stessa impressione, anche se per ragioni diverse, cioè di avvertire un non andare avanti, di uno zigzagare lento, di un procedere apparentemente inconcludente. Ovvio che se ne assume tutta la responsabilità e che quindi debba fare un’autocritica e una revisione nel modo di procedere. Tanto più per un terapeuta di formazione sistemica relazionale perché sarebbe naturale sentire qualche familiare significativo per avere altre informazioni e altri punti di vista sulla storia familiare e sull’organizzazione del sistema relazionale.

Ormai è accertato che una famiglia nella sua formazione si organizza con un sistema di relazioni, di regole comportamentali, di aspettative reciproche, di comunicazione verbale e non verbale, ma soprattutto con legami affettivi. Sistema di relazioni che sono determinanti nello sviluppo della personalità di ciascun componente nel bene e nel male, relazioni che sono e devono essere dinamiche in funzione del cambiamento e dei bisogni di ognuno.

Allora è comprensibile e sarebbe auspicabile in una situazione di stallo psicoterapeutico la convocazione di un altro familiare significativo che aiuti ad allargare la visione della storia familiare con gli occhi di un altro osservatore.

Elena è una paziente che mi chiede una psicoterapia individuale per mettere ordine dentro di sè, capirsi e capire quali sono le sue attitudini sia a scuola che nella società. Da molto tempo si sente confusa, profondamente scontenta di se stessa. Non si sente contenta del lavoro che fa. Si ritiene una buona madre e una buona moglie, scontenta di come vive, si sente di essere incapace per cui un piccolo fallimento è una tragedia, il positivo che fa lo sente come dovere, si sente vecchia ed in crisi con il lavoro.

La sua storia infantile è un peregrinare in diverse regioni e città italiane al seguito del padre che per ragioni lavorative era costretto a vivere e spostarsi a seguito dell’impresa con cui lavorava. Quando Elena ha dieci anni la madre decide di stabilirsi definitivamente con i figli in Trentino nel suo paese natio.

Frequenta la scuola media con un buon rendimento per cui dopo si iscrive al liceo scientifico, che frequenta con regolarità solo per alcuni mesi, trovandola una scuola impegnativa e difficile per la sua preparazione. Continua a frequentare con scarso impegno, e negli ultimi due mesi inizia a marinare sistematicamente. Verso la fine dell’anno scolastico Elena scopre che la madre, informata dagli insegnanti, sa delle sue continue assenze della figlia, senza però che lei le abbia mai detto qualcosa al rientro a casa. Silenzio assoluto che pesa però sulla coscienza di Elena. .Alla sua bocciatura il padre reagisce con indifferenza, come se il successo scolastico della figlia per lui non fosse così importante come era invece per il figlio maschio. Elena comincia a pensare di essere trascurata dai genitori, che avevano in mente solo il fratello, con cui fin dall’infanzia era in continuo conflitto.

Così dopo la bocciatura in prima liceo scientifico, sentendosi in colpa e nello stesso tempo trascurata, per dimostrare che comunque si sarebbe impegnata in un apprendimento scolastico professionale, si iscrive ad un istituto professionale di sartoria, che frequenta con impegno e passione, avendo come ritorno un rafforzamento della sua scarsa autostima. Non si accontenta, si spinge ad avere di più, frequenta così per un anno un corso di specializzazione. Sulle ali dell’entusiasmo e della voglia di sentirsi realizzata apre giovanissima assieme ad una amica una sartoria con buona prospettiva di successo, che arriva, per cui avrebbe potuto sentirsi realizzata.

Ma lei ha in mente ancora il bisogno di dover riparare il torto fatto alla madre per aver tradito la sua aspettativa di vederla realizzata in un percorso scolastico superiore. Si iscrive ad una scuola privata di recupero scolastico, frequentando un corso serale per il biennio di scuola superiore a Trento

La scelta dell’indirizzo probabilmente non è casuale, perché è quello della professione del fratello maggiore, il preferito dal padre, con cui Elena si è sempre messa fin da piccola in una posizione conflittuale Questa sua scelta ha perciò il sapore di una doppia sfida, una dimostrazione di essere capace, lei ritenuta incapace, di riuscire, nonostante il lavoro ed i grossi sacrifici richiesti, negli studi; dall’altra dimostrare ai genitori ed al fratello di riuscire dove lui era riuscito in condizioni più favorevoli.

Vince la sfida, ma non si accontenta, e questa volta pur continuando a studiare con lo stesso impegno passa all’indirizzo per applicazioni tecniche femminili. Riesce a diplomarsi. Scopre così di essere capace, di avere delle risorse, ma non arriva quello che lei vuole spera: il riconoscimento tanto aspettato dalla madre, che le ripete invece che il suo impegno ed il bene che fa è un atto dovuto. Continua perciò in questa corsa, si iscrive all’università, in una facoltà umanistica, rimanendone però delusa. Inaspettatamente a ventidue anni viene richiesta come docente da una scuola professionale per sarta fuori regione, accetta ed insegna per due anni, facendo così un salto qualitativo di cui potevano andare fieri i genitori, ma che forse non lo sono stati. Da lì ritorna a casa, ad insegnare nella stessa scuola di sartoria dove si era diplomata e scopre occasionalmente il bisogno di avere una formazione universitaria per occuparsi delle persone svantaggiate di cui per ripiego si sta occupando. Si diploma educatrice professionale, inizia a lavorare nei servizi sociali e nello stesso tempo si sposa, arrivando forse così al massimo dove avrebbe potuto arrivare per ricevere segnali di riconoscimento e di stima da parte della madre, che però non sono mai arrivati.

E’ questa la radice della sua depressione? Sta nella sua sconfitta nella sfida con la madre?

In quinta seduta propongo di convocare la madre con il consenso di Elena. La madre chiarisce il nodo affettivo della figlia, che ha vissuto il silenzio della madre come trascuratezza e mancanza d’amore. La madre invece ha preso l’insuccesso scolastico della figlia quando era al liceo come evento fortunato, perché fin dall’inizio avrebbe voluto che la figlia facesse una scuola professionale, piuttosto che un corso di studi difficile e soprattutto molto lungo che avrebbe comportato costi economici per la famiglia non facilmente sostenibili.

La seduta congiunta con la madre è stata positiva sia per lei che per la madre. Hanno continuato a parlarsi anche dopo. La madre non ha mai pensato che l’episodio del suo silenzio sul marinare della figlia potesse essere così traumatico per lei. Elena ha capito di più la madre, si è in qualche modo riconciliata con lei.

E’ contro il padre piuttosto che si è risvegliata e riversata la rabbia, sempre per lo stesso episodio e per il suo “silenzio tagliente” all’annuncio della sua “bocciatura”. La scena ce l’ha ancora presente, anche se in parte rimossa, con il padre che non dice nemmeno una parola, comunica con un gelido silenzio accusatorio e colpevolizzante.