Quando la psicoterapia si interrompe per un errore dello psicoterapeuta – – – – – – Giuseppe Basile

Quando la psicoterapia si interrompe

per un errore dello psicoterapeuta

Giuseppe Basile

 

Non solo è umano sbagliare, ma io aggiungo che l’errore è, secondo la pragmatica della comunicazione, una informazione, sapendola utilizzare, che ci dice perché, come, quando abbiamo sbagliato.

Anche in psicoterapia gli errori che si commettono sono tanti sia da parte del paziente sia da parte dello psicoterapeuta, che non sempre riconosciuti, rimangono però attivi e quindi fuorvianti nel percorso psicoterapeutico che così può concludersi con un fallimento o con l’abbandono.

Ovviamente la responsabilità maggiore è quella dello psicoterapeuta, specialmente quando non li riconosce o non li ammette. E ci sono errori che, anche se riconosciuti, comunque interrogano sul perché e su come rimediare. Rimedio, che, anche se possibile, dipende però dalla qualità della relazione terapeutica fra paziente e terapeuta che nel tempo si è costituita.

Allora uno psicoterapeuta fa autoriflessione per scoprire dove e perchè ha sbagliato, interrogandosi sul fallimento, senza trovare risposta o se trova risposta, il fallimento è comunque inevitabile, il paziente non si sente capito.

Ed ogni psicoterapeuta ha i suoi casi insoluti che si fissano nella memoria per molti anni

 

Uno dei miei casi di abbandono

 Paola

 

È una donna di 30 anni, bambina trascurata, con diversi problemi che si trascina dall’infanzia e dall’adolescenza: paura ad uscire di casa da sola se non per andare al lavoro, agorafobia, bulimia. Ha consapevolezza di avere un problema almeno da quando era alle medie, perché vedeva la differenza del suo modo di comportarsi e quello degli altri.

Per questo inizia:

          • una terapia psicodinamica attraverso i sogni, che però abbandona dopo 6 mesi, non vedendo segnali di miglioramento per il mutismo della psicoterapeuta, che si limitava solo ad ascoltare, ma senza interpretare-

          • un percorso di psicoterapia strategica comportamentale non completato per la sparizione dello psicoterapeuta, che non si è più fatto trovare, nonostante la sua insistenza telefonica.

Allora contatta lo studio, le propongo un percorso di terapia individuale ad indirizzo sistemico familiare, con sedute quindicinali spesso in presenza della madre. I genitori sono separati.

 

Il percorso terapeutico è altalenante, a momenti di grande impegno nelle prescrizioni di cambiamento suggerite,( “Questa mia paura del cambiamento va sgretolata”) succedono regressioni sintomatiche, abbuffate, isolamento relazionale, paure paradossali ( “ho preso coscienza che ho proprio paura di cambiare”, “La creazione di risorse formidabili per lo scopo di NON cambiare”).

Ma pur sempre prevalente è il cambiamento.

 

In una seduta la madre esprime il suggerimento che se Paola potesse guidare la macchina ( Paola da anni ha preso la patente, ma non ha mai più guidato) potrebbe essere più autosufficiente negli spostamenti e nel fare la spesa sempre pesante e abbondante, senza cercare qualcuno che l’accompagni. Al che suggerisco che potrei trovare io un maestro di scuola guida, mio amico, che l’aiuti a riprendere sicurezza e coraggio nel guidare la macchina. Cosa che Paola fa senza grande entusiasmo e tutto sommato con un buon risultato, anche a detta del maestro. Visto il risultato, ho insistito che seguisse un regolare corso di guida con l’istruttore. Passano i giorni e non ho più notizie di Paola.

Dopo circa tre mesi mi arriva una email di Paola con cui mi notifica la cessazione della terapia:

La cosa delle guide mi ha bloccato.

Anche scrivere questa mail è una cosa che sto tirando per le lunghe (1 mese di sicuro!) me ne rendo conto e me ne dispiace, ma proprio non trovo nemmeno  le parole…. Men che meno troverei le parole per parlarne a voce.

… Il discorso della macchina non riesco ancora a vederlo come qualcosa per me, ma per gli altri, per omologarmi.

Non è che se non uso la macchina sono limitata… mi sento io limitata perché non uso per esempio i mezzi pubblici…. Per andare a trovare la nonna la macchina non mi serve, mi serve il coraggio e la serenità di stare in mezzo agli altri da sola e salire su un treno, su una corriera….

Quando ha fatto l’esempio se alle tre di notte mia madre stesse male come farei senza macchina…. quell’esempio mi ha spiazzato, in negativo.

 

La mia risposta

 Paola, in effetti mi sono chiesto come mai non ti fossi fatta viva, dato il lungo tempo che è passato. E mi son chiesto cosa può essere successo nel frattempo, visto il tuo assoluto silenzio.

Ho pensato che la terapia si sia bloccata, e quando succede, per quel che si sa, è perché il terapeuta commette qualche errore che blocca o rompe la relazione terapeutica. Forse sarebbe il caso di trovarsi per riflettere su cosa è andato storto nel processo terapeutico,.

Tu accenni al fatto che forse è stato l’obbligarti a prendere lezioni di guida che ti ha bloccata e così prendere la distanza e perdere la fiducia nella terapia, ma potrebbero essere forse altri fatti. Io mi chiedo, e vorrei capire comunque, con te o senza di te, il come e il perché, senza rendermene conto, anche se i segni erano nell’aria a mio parere, siamo inciampati facendo un passo falso, non avendo visto quello che avremmo dovuto vedere.

Non mi faccio ovviamente sensi di colpa, che sarebbero fuor di luogo, ma l’inciampo professionale mi spinge a chiedermi e a cercare il perché.

Quindi se fossi disponibile, ti sarei grato se potessi venire ad un incontro di verifica per aiutarmi a capire l’errore, che comunque, anche senza di te cercherò di scoprire.

Comunque grazie per esserti fatta viva e per la fiducia che hai avuto in me.

Giuseppe Basile

Nessuna Risposta

 

L’errore

 

Rileggendo criticamente le pagine della terapia a distanza di anni, vedo ora, forse, il mio errore: la mia insistenza sulla necessità di guidare la macchina. Non era la macchina per lei il problema, semmai il non poter utilizzare i mezzi pubblici a causa della sua fobia di essere vista. La macchina, se ho capito bene, era il segno dell’omologazione, l’essere come tutti, come gli altri, confusa in una massa omologata dal nuovo rito collettivo di ingresso nella società, un dover essere: prendere la patente di guida. E se ha preso la patente nel passato, forse è stata per lei una ingenuità infantile:

Il discorso della macchina non riesco ancora a vederlo come qualcosa per me, ma per gli altri, per omologarmi”

Bisogno riconosciuto di avere una sua identità autonoma, di affermare se stessa, di rompere il legame di dipendenza dagli altri, ma soprattutto dalla madre con cui ha vissuto un legame simbiotico dalla nascita :

“Alle volte mi sembra che non ci sia un “IO” e un “LEI”.[1]

 

 

Nota

[1] massa indifferenziata dell’Io familiare”, il massimo della simbiosi o fusione, costruita attraverso un processo che coinvolge tre generazioni, per arrivare ad una simbiosi patogena tra un genitore ed un figlio, in cui il genitore non è più in grado di distinguere tra se stesso ed il figlio e gli attribuisce arbitrariamente delle sue proprie caratteristiche.