Quando si rompe il triangolo originario familiare – Giuseppe Basile

Quando si rompe il triangolo originario familiare

Giuseppe Basile

 

Tutto è iniziato a crollare con la scomparsa di suo padre, con la rottura del “triangolo originario” che lega la figlia e la madre al padre.” Questa è la chiave di lettura di Massimo Recalcati per decifrare quanto si sviluppa e si intreccia nel romanzo di Nadia Terranova, Addio fantasmi.

È il copione che si ripete in ogni storia familiare quando si rompe il “triangolo originario” per cause diverse, non solo per la morte fisica del padre/madre/figlia, e non solo perché il padre scompare, e non si sa perché e per dove senza lasciare traccia. Ma c’è un’altra forma di scomparsa: la scomparsa della relazione psicologica, dell’Altro conosciuto che è diventato un Altro da quello di prima..

Il padre scompare anche perché, pur essendo ancora presente e sopravvissuto alla rottura del “triangolo originario”, non è più lo stesso padre di prima, perchè la rottura di una relazione familiare comporta nel sistema familiare forzatamente un cambiamento relazionale e individuale. Il padre/madre rimane sullo sfondo, ma anche i figli, ognuno è visto in un modo nuovo e diverso da quello di prima. Subentra silenziosa la separazione psicologica, anche se apparentemente tutto appare come prima. Si interrompe la comunicazione, i modi di essere in famiglia sono diversi, si vive quasi come estranei.

L’assenza di chi non c’è o non è quello di prima irrompe inaspettata e in forme diverse nella vita di chi resta, o resta immobile e passivo. Si vive tutti un sentimento di estraniamento, si vive una perdita, una silenziosa mancanza di riconoscimento delle identità reciproche. Si rimane tutti nel silenzio del Perché, tenuto segreto o rivelato per accomodamento, per non aggiungere dolore a dolore. Con l’illusione che in fondo nulla è cambiato

Il triangolo relazionale diventa però sofferente e patologico quando si rompe l’equilibrio, quando compare, magari inaspettatamente e silenzioso, un cambiamento in uno dei tre, e se il cambiamento non è capito dagli altri due. Il rischio più pericoloso è se si crea “l’alleanza patologica” fra gli altri due contro il terzo, padre – figlia contro la madre, madre – figlia contro il padre o genitori contro il figlio/a. Chi resta sulla sua posizione, chi rifiuta il cambiamento, deve comunque deve fare i conti a modo suo con l’assenza di chi “non c’è” più.

È un padre diverso quello che la figlia e la moglie vedono, cambiato, non riconosciuto, non accettato, con cui è difficile relazionarsi, stabilire nuovi equilibri relazionali funzionali. Un padre “assente”, lo si sente definire, solo perché è “andato via” e lo si sente dire anche quando il padre è ancora fisicamente presente in famiglia, ma con il “triangolo originario” dilaniato, squilibrato e in cui tutti sono “assenti”, non sono più quelli di prima, pur facendo le stesse cose di prima. Perché il triangolo relazionale originario, non è un triangolo fisso, immobile, statico, è sempre un triangolo in cambiamento lento e graduale nella sua funzionalità nello sviluppo del ciclo vitale familiare. L’”assenza” del padre non significa, disinteresse, allontanamento, abbandono, è piuttosto necessariamente un non essere quello di prima, un modo nuovo di relazionarsi, di essere padre. E così vale per la figlia e per la madre.

Il triangolo relazionale diventa però sofferente e patologico quando si rompe l’equilibrio, quando compare, magari inaspettatamente e silenzioso, un cambiamento in uno dei tre, e se il cambiamento non è capito dagli altri due. Il rischio più pericoloso è se si crea “l’alleanza patologica” fra gli altri due contro il terzo, padre – figlia contro la madre, madre – figlia contro il padre o genitori contro il figlio/a. Chi resta sulla sua posizione, chi rifiuta il cambiamento deve comunque fare i conti a modo suo con l’assenza di chi “non c’è” più.

Il dolore della perdita spinge inizialmente la figlia del romanzo, Ida, a trattenere la presenza del padre in una “scatoletta rossa” in cui racchiudere le parti nobili del padre, la memoria della relazione, la nostalgia del tempo felice, mantenere fissa così l’immagine paterna, rivista con occhi infantili nei suoi primitivi aspetti positivi.

Si attiva, senza volerlo, un processo di proiezione e idealizzazione rassicurante del padre interiore immobilizzato, con cui è più facile relazionarsi. Meglio ripensare a come eravamo che a quel che siamo e continuare a vivere con l’illusione che in fondo nulla è cambiato là dove invece tutto è cambiato: il padre, la madre, la figlia/o.

Ma il dolore della perdita rimane sempre sullo sfondo. “È, infatti, più facile amare l’assenza, che amare chi davvero c’è”. La presenza dell’assenza immobilizzata è conforto, rassicura che il padre idealizzato ci sarà sempre, è una reliquia preziosa nella mente e nel cuore.

Fin quando non si ha la forza e la capacità di fare il funerale del vecchio padre, la figlia rimane impigliata in una trama dolorosa, incapace di vedere, accogliere, relazionarsi con il nuovo padre collocato in uno scenario nuovo. “Bisogna liberarsi del contenuto della scatoletta rossa”, per far posto e spazio alle nuove identità. Solo così si cresce e si va avanti, altrimenti rimane il rimpianto, la nostalgia, il disconoscimento e l’annullamento dell’altro, la vera morte.

Perché «veniamo tutti da un funerale… tutti abbiamo perso qualcosa e sappiamo quanto lunghissimo e ingiusto sia il tempo davanti a noi”.