Scegliere tra ciò che è giusto da ciò che è facile – Cinzia Sorvillo

9 aprile alle ore 10:49

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[…] Oggi ci ritroviamo tutti in un’angoscia depressiva che condizionerà senz’altro la nostra visione del futuro e la nostra vita di domani, sebbene questo virus non abbia nulla di democratico né tanto meno sia una ‘livella’ perché la vulnerabilità materiale di chi non ha una casa o ha una casa troppo piccola, di chi sta vedendo morire il proprio lavoro o non ha la possibilità di dispositivi tecnologici, di chi sta sperimentando una solitudine non voluta o ha perso familiari e amici è assolutamente evidente e tangibile.

Paradossalmente oggi proprio attraverso l’isolamento collettivo abbiamo l’opportunità di capire che o ci muoviamo tutti insieme o non si salva nessuno.

Questo tempo sta disvelando e sta disfacendo la grande illusione della ‘versione proprietaria della libertà’, la versione egoistica della libertà su cui -aggiungo io- si fonda il capitalismo miope ed egotico degli ultimi decenni, il capitalismo che ciecamente depreda tutto: animali, cose e persone in nome di un profitto solipsistico e sordo.

Questo tempo nuovo ci mostra anche come sia stata illusoria l’idea che libertà sia espressione di ‘riempimenti’ continui, ‘consumi’ continui.

Quanto è vero che, soprattutto noi occidentali, abbiamo sempre inteso la libertà come attività di otturazione!

Uscire sempre, comprare sempre, cambiare sempre, muoversi sempre, dimostrare sempre, in nome di quel mantra ossessivo che ci dice che ‘non bisogna fermarsi mai’ e che, peraltro, ha pure favorito la diffusione dell’epidemia.

E ora una catapulta imprevista e ingovernabile ci ha gettato nel tempo dei silenzi e delle pause e ci ha spogliato di tutti quegli otturatori con cui riempivamo le nostre giornate.

Ebbene, questo mondo fatto di nuovi spazi può avere un potere inedito e fruttifero: ci può consentire di ‘immaginare’ una dimensione nuova per noi e la collettività.

In questo tempo forse abbiamo il compito di immaginare una dimensione politica e civile sistemica che non escluda ma includa, e qui io mi riferisco non solo alle persone e alle categorie fragili ma al Pianeta intero con cui siamo interconnessi a filo doppio.

Sicuramente quando usciremo dalle nostre case dovremo affrontare problemi di ‘adattamento post traumatico’, sicuramente saremo costretti a guardare una realtà nuova.

Lì potremo scegliere se piangere di disperazione e di nostalgia per la nostra vita antica, se cercare impetuosamente un colpevole a tutti i costi, se lasciarci travolgere da quella paura atavica del contatto con l’estraneo che necessariamente si riattiverà, oppure se farcene qualcosa di questo buio e di questa chiusura per attivare una nuova apertura.

Un augurio di Recalcati è che alla potenza negativa di questo trauma si possa rispondere con una potenza affermativa nuova che ci liberi dell’inessenziale e ci aiuti a ridefinire le priorità mettendo in moto la nostra forza di ‘immaginazione’, come quando tocchi la morte con mano, la paura con mano, il dolore con mano e da lì accade che rinasci, ricominci a sognare e a immaginare.

Vorrei chiudere queste riflessioni ricordando un episodio di uno dei più bei libri che io abbia letto nella mia vita: Harry Potter.

Il saggio professor Silente, quando la morte insensata di Cedric (alunno di Hogwarts e amico di Harry) darà l’avvio alla stagione del contagio del Male e della morte, dirà a una platea di studenti impauriti di ‘ricordarsi’ e di ‘non dimenticarsi’ di Cedric, e quindi della morte, quando dovranno scegliere tra ‘ciò che è giusto e ciò che è facile’.

Silente non dice, come ci si aspetterebbe da un libro fantasy, di scegliere tra bene e male o tra ciò che giusto e ciò che è ingiusto, ma di scegliere tra giustizia e facilità, intendendo per giustizia il più grande atto etico che possa compiersi.

La giustizia infatti non è affatto facile: richiede infatti sforzo, impegno, sacrificio.

Ebbene quando questo trauma collettivo che stiamo vivendo, quando il buio della morte che stiamo attraversando sarà finito spetterà a noi se scegliere la strada facile del passato e di tutto quello che è stato fino ad oggi, con tutte le sue iniquità ambientali e sociali, o andare verso ciò che è eticamente ‘giusto’ dal punto di vista sociale e ambientale; anche se questo richiederà sforzo, immaginazione e soprattutto ‘coraggio’.

La scelta spetterà solo a noi.

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Commento

Che dire? È tutto quello che ognuno di noi spera, desidera, auspica: Non più come prima! Non potrà essere come prima, come se si fosse inceppato casualmente un meccanismo che una volta riparato riprenderà a funzionare come prima. E perché poi non dovrebbe funzionare come prima? Dove sta il fallimento? Nella pandemia? Ma nella storia umana ci sono sempre state epidemie, pandemie, guerre devastatrici, rivoluzioni, uccisioni, stermini, … e dopo si è ripreso caparbiamente come prima, dimenticando i buoni propositi, gli appelli dei saggi e dei sapienti, condivisi, affermati, diffusi. Dopo duemila anni dalla predicazione di Cristo, di fratellanza e di amore ben poco si vede in giro. In tempi normali ognuno si chiude in se stesso, pensa al suo interesse, al suo tornaconto e alla sua affermazione. A volte mi chiedo se non avesse ragione il filosofo inglese Tommaso Hobbes a sancire che “Homo homini lupus”, che è nell’istinto umano tendere al raggiungimento del suo bisogno individuale e se cerca e stabilisce una collaborazione con gli altri, lo fa perché l’alleanza sociale ne favorisce il soddisfacimento. Perché mai Adamo trasgredisce un comandamento? E perché Caino uccide suo fratello Abele?, se non soddisfare un loro istintuale bisogno individuale. C’è ancora dentro di noi un Caino nascosto.

Però è anche vero che “o ci muoviamo tutti insieme o non si salva nessuno”, e che spetterà a noi se scegliere la strada facile del passato e di tutto quello che è stato fino ad oggi, o andare verso ciò che è eticamente ‘giusto’. Non so se è facile far proprio questo appello alla fratellanza e all’amore umano, so solo che se lo si fa proprio e lo si assume almeno come regola di vita personale, allora va testimoniato prima di tutto con l’indignazione. L’indignazione personale è la prima testimonianza che così come va il mondo non va bene nel piccolo come nel grande. Una testimonianza che come si vive è alienante, continuamente allettati da lusinghe commerciali, forzati a condurre una vita spersonalizzata sempre alla rincorsa del nuovo e del bello, a consumare il tempo sempre alla rincorsa della meraviglia propagandata dal consumismo esasperato. Insoddisfatti didi testimoni e  una vita relazionale asfittica per le continue corse a fare qualcosa. E si sta poco in casa a parlare di sé, a vivere un tempo dilatato per scelta e non per costrizione.

Abbiamo bisogno di indignazione aperta e di testimoni coerenti, che nel quotidiano della vita privata e sociale denuncino le storture e le inefficienze del vivere collettivo. Non di predicatori che annuncino un nuovo messia.