Trovarsi prigionieri del sogno di un altro – Giuseppe Basile

Girovagando fra i miei post in cerca di altro, mi sono imbattuto in questo di cinque anni fa che ripropongo ancora una volta.

“Dal mio punto di vista i genitori non devono avere delle competenze particolari, perché non sono psicologi e non devono fare i pedagoghi o gli insegnanti. Devono fare i genitori. Il genitore non deve avere competenze tecniche, deve amare i propri figli. Se c’è un dovere, è quello di amare i propri figli, che vuol dire: atto, fede, promessa. L’unica competenza che dovrebbero avere i genitori è dire sì alla vita dei loro figli, che significa cedere sulle proprie attese, cioè non avere attese sui propri figli: questo è il dono più grande, il dono più difficile. È quando non c’è questa assenza di attese che spesso si creano problemi nei figli. Diceva Gilles Deleuze che non c’è cosa peggiore che trovarsi prigionieri del sogno di un altro. A volte ci diciamo: cosa ho fatto nella mia vita? Beh, ho cercato di realizzare il sogno di un altro: questo è un incubo. Quando uno si trova in questa posizione è un incubo. Cosa ho fatto della mia vita? L’ho dedicata a soddisfare le attese, il sogno di un altro? Bisogna rompere questo, anche se costa, bisogna uscire dal sogno di un altro, non restare prigionieri nella bambagia avvelenata del sogno di un altro.”

La forza del desiderio, Massimo Recalcati

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I tuoi figli non sono figli tuoi.

Sono i figli e le figlie della vita stessa

(Khalil Gibran)

La pagina, l’ho letta e riletta diverse volte, mi ha fatto da specchio , in cui mi sono riconosciuto giovane studente, appena terminati gli studi del liceo classico. C’era il problema di scegliere la facoltà universitaria, e per me era un vero problema. Eravamo nel 1961, all’inizio del boom economico e industriale dell’Italia del dopoguerra. Mio padre aveva un sogno per me, non detto esplicitamente, anche se gli leggevo il desiderio sperato. La speranza che io avessi un futuro economico certo e sicuro, che allora significava: ingegneria. Non ho avuto la forza di dire che invece avevo un altro sogno, il mio sogno: filosofia, che però allora era ritenuta una attività “senza arte né parte” e che non giustificava il costo economico della laurea. Mi iscrissi così a ingegneria al Politecnico di Milano. Cominciò così il mio incubo, riuscii a dare due esami con difficoltà, mi arresi, ritornai a casa, ebbi la forza di dirlo prima a mia madre e poi a mio padre deludendolo. Ma mi capì e quando gli dissi che avrei voluto fare Filosofia all’Università Cattolica di Milano, non fece nessuna obiezione, con il suo silenzio rafforzò il mio sogno. E la mia vita cambiò radicalmente.

Questa libertà si scelta mi ha sempre accompagnato quando ho dovuto fare scelte di vita successive, professionali e relazionali.

Ho fatto l’insegnante, all’inizio per necessità, ma poi per passione per circa trent’anni e contemporaneamente, seguendo un altro sogno, mi sono iscritto a Psicologia. E quando la passione per l’insegnamento svanì non accettando di sentirmi dipendente di una scuola-azienda, ho lasciato la scuola per mettermi alla prova con la psicoterapia.

Per questo mi sento debitore silenzioso verso i miei genitori per quello che mi hanno dato liberamente e con amore. Il dono più grande che i genitori possono fare ai propri è quello di amarli, “non devono avere competenze tecniche particolari”, come purtroppo si sente dire dai tanti, moltissimi psicologi, dimentichi di quanto disse Freud: tre sono i mestieri impossibili: quello di genitore, di psicoterapeuta, e quello di governare. Si può essere compagni di viaggio accettati stando tre passi indietro per essere vicini ai figli in caso di bisogno.

Ed ho sempre in mente l’immagine accorata di mia madre appoggiata alla ringhiera di casa tutte le volte che mi vedeva ripartire per “il nord”.