Il mito dei successi terapeutici – Cecchin, G. Lane, W.A. Ray

Il mito dei successi terapeutici

Cecchin, G. Lane, W.A. Ray

 

“Siamo impressionati, nell’ambito della terapia chiamata familiare breve, da come numerosi clinici, teorizzatori e ricercatori, tentino di dimostrare, attraverso gli esiti dei loro studi, la validità di un determinato orientamento.

[…]

… La terapia, nelle sue diverse forme, continuerà a prosperare indipendentemente dalla possibilità di dimostrare la propria efficacia attraverso ricerche ufficiali volte a valutarne i risultati; infatti, quando un cliente e un terapeuta sentono di aver ottenuto il risultato desiderato, la precisa quantificazione di cosa e come sia successo può anche restare sconosciuta.[…] Se la ricerca fornisse dati convincenti, ci permetteremmo il lusso di non rendere conto a nessuno; fortunatamente, però, tali dati irrefutabili non esistono, nonostante che un numero sempre crescente di terapeuti pseudoscientifici affermi a gran voce di averli scoperti.

… Ciò significa che l’unica arma che abbiamo è quella di rispondere delle nostre azioni: se non pensassimo di essere utili ai nostri clienti, ognuno di noi troverebbe un altro sistema per guadagnarsi da vivere. Non siamo, peraltro, esonerati dal cercare di capire come muoverci nel migliore dei modi nel rapporto con i clienti, formulando ipotesi di lavoro, sperimentando nuovi modi di comprendere le situazioni, mettendo le persone in condizione di cambiare in maniera ecologicamente coerente e tenendo sempre gli occhi aperti per cogliere i risultati della ricerca “seria”.

… Quando i terapeuti o gli allievi calcolano ossessivamente che cosa funziona o che cosa non funziona ovviamente in modo che l’esperienza possa essere ripetuta o messa alla prova, allora perdono di vista ciò che è più importante: dove vi sono implicazioni riguardanti il contesto e il modello, non esiste – né la domanda “giusta”, né la risposta “più corretta. […]

In definitiva, vi sono due modi generali di accostarsi alla terapia:

          • un indirizzo sembra affascinato dalla codificazione di metodi specifici per cambiare i clienti:
          • l’altro è interessato alla comprensione del modo in cui una determinata famiglia sia riuscita a organizzarsi per essere come appare e consiglia, prima di buttarsi a capofitto a intervenire, di fermarsi a considerare le possibili conseguenze terapeutiche delle proprie affermazioni.”
          1. Cecchin, G. Lane, W.A. Ray – Verità e pregiudizi – Un approccio sistemico alla psicoterapia – Cortina Editore

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Commento

Anche questa, pagina letta e riletta tante volte per trovare risposte sul modo e sul senso di essere psicoterapeuta.

La psicoterapia è una scienza? E se sì, quali sono i suoi fondamenti? E perché allora tante teorie diverse e le tante scuole private di psicoterapia, che sembrano quasi scuole di partito, piuttosto che riservare all’Università l’insegnamento? E che dire dei tantissimi studi privati di psicoterapia che nel giro di qualche decennio si sono sviluppati in modo esponenziale? C’è scienza in tutto questo?

Alcune osservazioni.

Anni fa viene allo studio una signora che mi chiede di essere seguita per un suo grave malessere depressivo, già in cura da un altro rinomato psicoterapeuta medico da anni, ma senza esiti positivi, anzi aggravati. Alla sua richiesta dichiaro la mia impossibilità di prenderla in carico perché già seguita da un altro professionista. La rivedo dopo un anno facendomi la stessa richiesta, dicendomi che il suo terapeuta non rispondeva alle sue chiamate telefoniche da molti mesi. Ha voluto fare una ultima riprova con un altro numero telefonico e la risposta è stata immediata. Ha tratto le conclusioni ed è ritornata da me. Terapia familiare allargata a marito, figli, sorelle e conclusasi positivamente dopo quasi due anni di terapia.

Mi sono chiesto: “Quale è stato il fattore significativo della sua guarigione? L’aver seguito una metodologia terapeutica teorica diversa dalla prima? La personalità del terapeuta? L’aver scoperto presunte verità del suo reale star male? O la relazione terapeutica?

Alla fine del mio lavoro di psicoterapeuta e dopo aver visto centinaia di casi,  sono convinto che quello che vale è il sapere fare ricerca ed essere attento compagno di viaggio di un paziente che esplora il percorso per ritrovare se stesso. Nessuno può sostituirsi a lui, colmare i suoi bisogni o dare indicazioni su quello che deve fare, dare ricette sperimentate. Il presupposto è la presenza di una buona relazione terapeutica che permette e rassicura che il terapeuta è presente e attento ai movimenti che fa il paziente. Questa è una sua responsabilità di una quasi autoguarigione, che alla fine non si sa come e perché sia avvenuta, perché “dove vi sono implicazioni riguardanti il contesto e il modello, non esiste – né la domanda “giusta”, né la risposta “più corretta”.

Alla fine, neanch’io so e mi chiedo quale sia stata la molla che ha fatto scattare la il cambiamento. E non vado più alla ricerca della “verità”. Perchè l’altro rimane un misterioso sconosciuto.