Accettare che vivere comporta anche perdere. E nella perdita si può anche trovare consolazione. — – – – – Gabriella Caramore L’età grande

Accettare che vivere comporta anche perdere.

E nella perdita si può anche trovare consolazione.

Gabriella Caramore

A chi è consentito andare in là con gli anni e diventare vecchio accade poco per volta di vedere il paesaggio umano che gli sta intorno svuotarsi, impoverirsi, come una foresta a cui di tanto in tanto viene strappato un albero, magari vetusto e rinsecchito, oppure giovane e ancora frondoso, finché la foresta cambia aspetto, perde rigoglio, si fa radura secca, non più riconoscibile. O come se, dal centro di una piazza ben conosciuta, le luci che provengono dalle finestre dei palazzi, con le vite calde e colorate che si indovinano nelle case, pian piano si spegnessero una a una, per non riaccendersi mai più.

Così le presenze di un tempo si trasformano in assenze.

Come reagisce il cuore umano a questi strappi? Come può la mente registrare un simile scempio di esistenze? Come può procedere la vita senza quel volto amato, senza quella voce che ci ha accarezzato, senza quell’incontro quotidiano, oppure vissuto solo nei pensieri, da lontano, ma con la sicurezza che quella persona era lì, disponibile in qualche luogo di questa terra, da cui ci poteva provenire un segnale, la conferma che stavamo vivendo insieme e che avremmo continuato a vivere così, all’infinito, in una vicinanza magari virtuale, ma fatta comunque di scambi di racconti, emozioni, risa, sfoghi, ricordi?

Le sapienze di tutti i tempi falliscono nel dare risposte. Confortano invece nel metterci di fronte, dolcemente, lentamente, alla inesorabile realtà di quanto accade. Aiutandoci ad accettare che vivere comporta anche perdere. E nella perdita si può anche trovare consolazione.

Gabriella Caramore  L’età grande – Garzanti

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Commento

Che la morte ci sarà è certezza, questa è la verità. E che cosa succederà dopo non c’è certezza. Filosofia, religione, scienza, anche se possono essere consolatorie, non rassicurano. Resta indicibile il futuro. Viviamo solo nel presente, assistendo allo spegnersi ”delle luci che provengono dalle finestre dei palazzi una a una, per non riaccendersi mai più”.

“Così le presenze di un tempo si trasformano in assenze”, anche se il nostro bisogno e il nostro desiderio non accettano la scomparsa, la morte delle persone a noi più care, fino al punto di scivolare lentamente in una depressione patologica o in una dimenticanza colpevole. Ma i nostri morti sono morti del tutto o hanno lasciato in noi una traccia della loro presenza, quasi una eredità viva?:

Non vive ei forse anche sotterra, quando

gli sarà muta l’armonia del giorno,

se può destarla con soavi cure

nella mente de’ suoi?

Solo se riconosciamo questa loro presenza, allora comincia un dialogo silenzioso con i nostri morti presenti nella nostra vita, ognuno con la sua personalità, tanto che, se interrogati, sappiamo già la loro risposta. E’ una presenza che ci accompagna e ci rassicura. Si capisce allora perché Gesù, al discepolo che gli chiede di poter seppellire i suoi morti prima di poterlo seguire, gli dice: “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti”. Frase apparentemente sibillina, quella di Gesù, per far capire che i morti, se c’è stata una “corrispondenza di amorosi sensi”, vivono ancora in noi, sono presenti in noi, e non tanto in una sepoltura o in un’urna muta, al punto che “chiunque di noi è circondato da assenze presenti” (Recalcati).

“Poco prima di morire il filosofo Jean-Luc Nancy lascia un biglietto con tre parole rivolte ai suoi amici, allievi e familiari. “In questo biglietto Nancy scrive: – Portatemi con voi-. Che significa: – Non venite a piangere sulla mia tomba, ma portatemi con voi, fatemi diventare linfa. In fondo, il compito che abbiamo verso chi non è più qui, non è semplicemente pregare sulla loro tomba, ma portarli con noi, renderli linfa”.(Recalcati)