Scoprirsi di essere precipitati nella «normalità patologica» della vecchiaia
Gabriella Chiaramore
Accade, un certo giorno, che ci si scopra precipitati nella «normalità patologica» della vecchiaia. E tuttavia sembra ancora che la cosa non ci riguardi. Può accadere, secondo una narrazione corrente, una mattina, davanti allo specchio, quando qualcosa ci sorprende nel nostro volto; o vi si riconosce d’improvviso un tratto del volto della madre o del padre già anziani, quel modo particolare di piegare il sorriso a sinistra, o quell’incavo nella tempia a cui non avevamo fatto caso, o quell’andatura rallentata e strisciante che non è mai stata la nostra. Oppure nel momento in cui un grosso trauma ci invalida, e si capisce che ci potrà essere aggiustamento ma non guarigione. Oppure quando uno sguardo giovane ci dice silenziosamente la sua irriducibile distanza. Oppure quando si ammala delle malattie della vecchiaia una persona a noi cara. O quando muore un amico, un’amica che davamo per scontato che avrebbe vissuto una vita parallela alla nostra. Insomma, in una infinità di modi si prende coscienza della vecchiaia. Si tratta di prese di coscienza progressive: un lampo nero che al momento ci si costringe a dimenticare, ma che pian piano comincia a fare massa con altri tratti di una consapevolezza non più eludibile. Si continua a fare progetti. Ma con un raggio d’azione molto più corto. Si proiettano le aspettative sui figli, sui nipoti, sul tessuto sociale intorno. Finché, poco per volta, la rinuncia diventa una postura della mente, oltre che del corpo, una inclinazione del cuore che occupa tutta la persona. Ciascuno la modella a suo modo, chi occultando la realtà degli anni, chi esacerbandola, chi facendone luogo di privilegiata agnizione. Inizia, in ogni caso, la parte più ardua dell’avventura umana.
*** *** ***
Commento
Giuseppe Basile
Ma quando ho cominciato a pensare e capire di essere entrato nella vecchiaia?
I primi segni sono stati quando ho avvertito chiaramente di cominciare a perdere la memoria dei nomi delle persone conosciute e degli amici, e quando cominciava a indebolirsi la memoria procedurale.
Nonostante tutto sembra intatta la memoria creativa, quella che serve nel lavoro di psicoterapia, cioè: quella di essere capace di utilizzare episodi, avvenimenti, del passato e metterli in relazione con il presente, riuscire a fare ipotesi sul perché di quello che è successo, e accompagnare il paziente nel percorso nuovo di liberazione.
E sono grato a chi mi cerca per essere aiutato in questo suo cammino interiore.