I vecchi sembrano tutti uguali

I vecchi sembrano tutti uguali

 

 A guardarli così, di sfuggita, in un bar di quartiere dove si ritrovano a prendere insieme un caffè, a passare il tempo, a scambiare piccole storie quotidiane – difficoltà, brevi gioie, considerazioni su come va il mondo – i vecchi sembrano tutti uguali. Anche se si entra in una residenza per anziani, le differenze più vistose sono tra chi è riverso su una carrozzella, o si aiuta con il deambulatore e chi porta invece, con l’ultima briciola di orgoglio, i suoi passi verso mete che solo a noi sembrano senza scopo. Anche lì, appena si entra, i corpi e i volti si assomigliano tutti, come quelli dei neonati. Ma se ci si avvicina, si inizia con qualcuno di loro un colloquio che sia anche di sguardi, dialogando con i corpi, le fisionomie, le storie, i pensieri, allora si ritrova in ciascuno quel «qualcosa di vivo» che non può che essere unico, irripetibile, straordinariamente «singolare». I temi dei loro racconti sono sempre gli stessi: la salute, la famiglia, il denaro, la politica. Ma dietro ogni parlare sta nascosta una storia, che si intreccia con molte altre storie. Penso con dolore a quante storie perdute, a quante non raccontate.

Sì, nelle vecchiaie di tutti, quello che fa la differenza maggiore sono gli affetti, il benessere del corpo, le cure, l’ambiente in cui si vive, la possibilità di godere di qualcosa di bello e di amato. Chi non ha amore intristisce prima, smette di interagire, impigrisce cuore e cervello. I suoi giorni sono più freddi, le notti più spaventate.

Gabriella Caramore, L’età grande, Garzanti

Si fa presto a generalizzare parlando di vecchi. Chi sono i vecchi? Una volta li si definiva tali quando uno andava in pensione, pensionato uguale vecchio, tutti accomunati dall’avere un tempo libero e vuoto. Uno si definiva per quello che era stato, dal lavoro che faceva, ma che nel presente vive in un tempo vuoto, anonimo, insignificante. Come quell’atleta che dopo aver fatto la sua maratona, alla fine si accascia per prendere respiro e forze. E inventarsi un’altra vita.

Con l’avvento della società consumistica i vecchi sono diventati oggetto di consumo di gite turistiche, di ritrovi sociali, di un pullulare di iniziative ricreative, non richieste, ma accettate per riempire un vuoto, se non altro per parlare sempre degli stessi argomenti:” la salute, la famiglia, il denaro, la politica”.

Ma se si esce dalla omogeneizzazione standardizzata della figura del vecchio e ci si pone la domanda: Ma chi è il vecchio come persona individuale, che storia c’è stata nella sua vita, storia che, anche se raccontata, è sempre un insieme di fatti e accadimenti esteriori, di come nella società e nei rapporti con gli altri era visto e faceva.

Ma a nessuno viene in mente che dietro l’apparenza del vecchio c’è una storia vitale, nascosta, forse anche dimenticata, che fa essere la persona quella che è, unica, non quella che appare: il vecchio.

Storia che si intreccia con molte altre storie”, con la nostra di figli, senza saperlo, in molti dei casi. Allora scrivere e narrare la propria storia familiare sarebbe una preziosa eredità per i figli e i nipoti, perché in quella storia forse c’è una parte di quello che ognuno di noi è.