Il metodo in terapia psichiatrica . Eugenio Borgna

La psichiatria clinica e quella fenomenologica come due modi diversi, ma dialetticamente correlabili, di confrontarsi con ogni esperienza psicopatologica e con la depressione in particolare.

La clinica, in psichiatria, si occupa dei sintomi di una depressione, dei loro modi di manifestarsi e delle loro fondazioni biologiche, del loro significato diagnostico insomma; e questo nel contesto di un linguaggio descrittivo e di un atteggiamento conoscitivo fondato sulla distanza emozionale dal paziente: sulla sua oggettivazione.

La fenomenologia, in psichiatria, mettendo fra parentesi (la epoché husserliana [107]) quello che conosciamo in ordine alla articolazione clinica e alla classificazione delle depressioni, intende recuperare i modi di essere psicologici e umani, con cui ogni paziente rivive la sua propria angoscia e la sua propria tristezza, la sua propria disperazione e la sua propria solitudine. Questo è possibile solo nella misura in cui, come si propone di fare la fenomenologia, l’oggetto della ricerca in psichiatria divengano i vasti territori della interiorità, della vita interiore, della soggettività.

La interiorità come orizzonte di senso, e come stella polare, di ogni conoscenza fenomenologica in psichiatria.

Confrontarsi con i fenomeni costitutivi di una depressione, analizzata e colta a partire dalla interiorità (dalla soggettività), significa cambiare radicalmente il modo con cui ciascuno di noi si avvicina al modo di essere e al modo di vivere di ogni paziente. Lo sguardo fenomenologico ai contenuti, che riemergano in ogni depressione, non può se non essere uno sguardo immedesimativo e partecipante, e non freddo e neutrale, come è, e come deve essere, lo sguardo clinico che si indirizzi alla valutazione oggettiva degli aspetti sintomatologici e biologici di una condizione depressiva.

Questo sguardo immedesimativo (em-patetico), che mette in correlazione tematica ed esistenziale la soggettività di chi cura e quella di chi è curato, non è se non una componente emblematica e decisiva della relazione: della comunicazione fra medico e paziente; e questo, certo, nel contesto di quella dimensione fenomenologica che Edmund Husserl [105] ha chiamata intersoggettività. ….

Eugenio Borgna – Le interruzioni del cuore, Feltrinelli

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Commento

Conoscenza e cura in psichiatria e psicoterapia

Quello che si dice del metodo della psichiatria nel libro di Eugenio Borgna, Le interruzioni del cuore, vale anche per la psicologia e la psicoterapia, oggi soprattutto per lo scivolamento e l’appiattimento dell’una e dell’altra alla clinica sintomatica, al comportamento visibile, al dato osservabile e inquadrabile in un manuale psicodiagnostico.

Condivido e mi ritrovo in quello che scrive Eugenio Borgna: “La psichiatria clinica ci consente di fare la diagnosi di depressione, di coglierne i sintomi e i momenti evolutivi, e di distinguere una depressione psicotica da una depressione neurotica, una depressione maggiore da una distimia, ma non ci consente di cogliere gli aspetti strutturali, psicologici e antropologici, di una depressione: i suoi modi di essere radicali.

Perché se la psichiatria ha un senso del prendersi cura dell’altro sofferente che chiede aiuto, dell’altro come persona con storia, non può limitarsi a curare il sintomo, magari con l’aiuto e l’abuso della farmacologia dilagante. Questa è una scorciatoia che dà l’illusione della guarigione a buon mercato, solo perché si riducono forzatamente i comportamenti sintomatici, minimizzando la comparsa degli effetti sintomatici secondari.

Il sintomo non è solo patologia da estirpare ad ogni costo. Il sintomo significa qualcosa, è dotato di senso, è messaggio, è comunicazione, anche se comunicazione metaforica. E non è solo patologia classificata, etichettata in un manuale psicodiagnostico, a cui si possa attingere per avere ragguagli su come possa essere curato ed eliminato.

Bisogna ammettere che il sintomo è qualcosa di cui si parla e su cui si lavora, senza sapere con certezza cosa sia, perché il sintomo ha una natura metaforica, comunica qualcosa che sta al posto di qualcos’altro, qualcosa che va ricercato con pazienza, passione e desiderio di conoscere per aiutare e “recuperare i modi di essere psicologici e umani, con cui ogni paziente rivive la sua propria angoscia e la sua propria tristezza, la sua propria disperazione e la sua propria solitudine”.

Bisogna chiedersi il perché della comparsa del sintomo e di quel sintomo, se si vuol capire la sofferenza psichica e, credo, il quando di quella comparsa. Il sintomo ha una storia condensata, una storia di relazioni e di relazioni familiari che definiscono l’interiorità e la soggettività della persona.

“La interiorità come orizzonte di senso, e come stella polare, di ogni conoscenza fenomenologica in psichiatria”, come indica il fare psichiatria e psicoterapia Eugenio Borgna.

Non sempre la ricerca e la interpretazione fenomenologica del sintomo è facile e non sempre la si trova. A volte io confesso umilmente che mi trovo con le mani vuote, anche dopo molta fatica e molte energie spese nella ricerca, e lo comunico al paziente, anche se può sembrare controproducente offrire all’altro l’immagine di un terapeuta senza potere, piuttosto che ammantarmi di un finto potere. Me lo impone il mio essere in relazione con l’altro, la relazione terapeutica, che si è costruita, per cui l’altro fa parte di me e non sono tollerabili sotterfugi e nascondimenti. Ma nello stesso tempo comunico che non abbandono la persona e la ricerca del senso del suo star male, se c’è ancora fiducia nella relazione terapeutica, perché il suo star male non mi lascia indifferente.

Lo sento come impegno morale l’aiutare chi soffre e non un mestiere.