All’asilo lezioni sulla vita e la morte così i bambini diventano grandi – di Anais Ginori

All’asilo lezioni sulla vita e la morte così i bambini diventano grandi

di Anais Ginori

 

La domanda, di solito, arriva sempre a tradimento, quando hai alle spalle il carico di stress della giornata lavorativa, oppure mentre al mattino stai guidando verso scuola, con un pauroso ritardo. “Mamma, perché dobbiamo morire?”. “Papà, dov’ ero io prima di nascere?”.

Prove di dialogo metafisico con i propri figli. Tutti i genitori si sono cimentati con questo complicato esercizio che si presenta puntuale a partire dai tre anni dei bambini e raggiunge l’apice intorno ai sei. È l’ età dei perché. Una domanda dopo l’ altra, senza che alcuna risposta appaia mai soddisfacente. Piccoli filosofi crescono. Almeno così ci dicono ora molti specialisti dell’ infanzia, convinti che già nella scuola materna sia importante insegnare l’arte del ragionamento e della riflessione sul mondo che discende dall’ Antica Grecia.

Il caso più famoso è quello della classe di un paesino della banlieue parigina, Mée-sur-Seine, dove una maestra ha deciso di trasformare gli interrogativi dei bambini in un lavoro filosofico. Ogni quindici giorni, Pascaline Dogliani ha scritto sulla lavagna parole astratte come Giustizia, Libertà, Morte, Amore, avviando poi una discussione con i piccoli. «È il contrario di quello che facciamo di solito- racconta la maestra – più che insegnare le risposte abbiamo voluto stimolare domande».

Dogliani e i suoi “piccoli Platone” sono diventati protagonisti di un documentario presentato al Festival di Roma e uscito in questi giorni nelle sale francesi. Riprendendo nel titolo il famoso slogan sessantottino, “Ce n’est qu’ un début“, il film racconta la rivoluzionaria esperienza di questa classe e dei risultati raggiunti dopo quasi due anni di programma. «Anche i più timidi hanno preso la parola durante le nostre discussioni – continua la maestra – con straordinari progressi nel linguaggio. L’ approccio filosofico è un modo di liberare la creatività». La filosofia è una disciplina confinata quasi ovunque negli anni del liceo. Ma già nel ‘ 99, l’Unesco ha raccomandato l’ introduzione dell’ insegnamento all’ asilo, basandosi tra l’ altro sui lavori dell’ americano Matthew Lipman. Anche in Italia, questo approccio si sta diffondendo. Il comune di Modena ha formato dei maestri delle scuole dell’ infanzia e presto inizieranno le lezioni filosofiche per i più piccoli. In Francia, oltre al caso ripreso nel film appena uscito e ad altri sparsi per tutto il Paese, vengono organizzati privatamente centinaia di atelier philo nei pomeriggi del mercoledì, quando i bambini non hanno scuola. «Forse è una moda – commenta Jean-Charles Pettier, organizzatore di questi atelier – ma credo che il fenomeno rispecchi anche un diverso approccio da parte dei genitori».

Madri e padri non se la sentono più di prendere sottogamba gli interrogativi dei loro bimbi sui massimi sistemi, liquidandoli, stremati, con un classico “lo capirai da grande”, oppure con l’ancor più definitivo “perché sì”. Gli scaffali delle librerie francesi sono ormai pieni di manuali filosofici ad uso e consumo dei bambini dai tre anni in su. Una delle autrici più di successo è Brigitte Labbé che ha pubblicato trentacinque volumi delle sue “merende filosofiche”, già tradotti in diciotto lingue. Le dispense con cd audio permettono di organizzare dibattiti a casa intorno a quesiti come “Perché non sono il capo?”, “Qual è la differenza tra la vita e la morte?”, “Maschio o femmina?”.

Jean-Paul Mongin ha cercato invece di trasformare in favole le biografie dei filosofi nella nuova collezione “Petits Platons”. Prima della nanna, si può così raccontare la vita di Socrate, Descartes, Kant, Leibnitz e Sant’ Agostino. «A lungo si è pensato che l’ infans, colui che non parla, non potesse avvicinarsi al logos, la parola e la ragione» ricorda il filosofo Roger-Pol Droit, anche lui autore del manuale “Osez parler philo a vos enfants”, nel quale invita i genitori ad esercitarsi con i propri figli. «Platone e Aristotele dicevano che si diventa filosofi quando ci si stupisce e ci s’interroga sulle cose – continua Droit – ed è esattamente ciò che i bambini fanno istintivamente tra i quattro e i sette anni». Secondo l’ esperto, è fondamentale approfittare di questa fase per costruire il modo di pensare del futuro adulto. Tutti i bambini nascono filosofi, conclude, ma solo alcuni lo diventano.

Repubblica — 22 novembre 2010

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Commento

Un bambino inaspettatamente chiede alla mamma: ”Mamma, posso non crescere per un giorno?” La mamma presa alla sprovvista balbetta, abbozza una qualche risposta per non restare muta alla domanda e nello stesso tempo imbarazzata per non sapere dire cosa dire. E’ anche la riprova di quanto sia vero quello che si dice nell’articolo.

Quelle di Michele sono le stesse domande che gli uomini, da quando hanno cominciato ad avere coscienza di sè, si sono posti stupefatti del mistero della vita e della morte e noi siamo ancora lì e saremo sempre lì. Ad interrogarci sul senso della vita, sul perchè si nasce, sul perchè si muore, sul perchè si cresce e su dove si va dopo la morte.

Michele in fondo ci fa le stesse domande con immediatezza e spontaneità, a cui noi meravigliati e presi alla sprovvista, rispondiamo balbettando una qualche risposta risolutiva e definitiva.

“Chi non ricorda il fatidico ” quando sei grande te lo spiego”? O, ancora peggio, “è così perché è così”? Per facilità o per paura, abbiamo tutti la tendenza a eludere le domande dei più piccoli. Talvolta siamo imbarazzati. Siamo noi i primi a non saper rispondere a certe domande e a voler evitare di mostrarci dubbiosi ed esitanti. Come se il dubbio e l’incertezza non fossero anche loro profondamente educativi”. (Michela Marzano Repubblica — 22 novembre 2010)

E’ vero che i bambini di solito si accontentano, anche se forse non soddisfatti, perchè rimane sottofondo il senso della domanda.

Forse dovremmo abituarci più all’ascolto piuttosto che sfoggiare la nostra sapienza tascabile e buona per tutte le occasioni. Perchè Michele non vuole crescere o restare piccolo per un giorno? Quale sentire sta sotto la domanda, cosa vuol dire con quelle domande, quali vissuti sta vivendo?. Allora forse più che dare risposte, sarebbe più utile, essendone capaci, mettersi in sintonia, prendendo al volo l’occasione preziosa di una comunicazione spontanea, infantile e ricca per crescere entrambi, madre e figlio, nella relazione. E perché no, confessando la nostra ignoranza della nascita e della morte degli esseri viventi

Poi ognuno di noi ha i suoi limiti e le sue incapacità con cui fare i conti, e nessuno ha scritto il manuale del perfetto genitore e non sarà mai scritto, perchè le domande di Michele resteranno sempre aperte, perchè le relazioni con i nostri figli sono uniche, e nessuno ci può sostituire con un ricettario pronto all’uso, nonostante i soloni mediatici, pronti a dispensare consigli e pseudo-verità a destra e a manca.