Vecchiaia: Un tempo che chiede di essere trascorso con  consapevolezza, con passione d’amore



I sogni, le visioni degli scienziati, i loro straordinari strumenti hanno dilatato a dismisura la profondità degli universi, spalancando una vastità senza fondo che la mente comune fatica ancora a rappresentarsi. Ogni appiglio si sbriciola, per fare largo a un altrove sconfinato al di là della terra e al di là delle galassie conosciute, in uno spazio-tempo senza più frontiere. In questo vuoto espanso a dismisura l’essere umano si riconosce soltanto come un minuscolo accadere insignificante, quaggiù, su questo piccolo e stremato pianeta. Sapere che ciascuno di noi avrà una fine, e nessuna proroga sarà concessa, che siamo granelli di polvere in un vorticare senza sosta, non può che riempire gli uomini e le donne di oggi di un senso di incertezza, di disorientamento.

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Un tempo che chiede di essere trascorso con consapevolezza, vorrei dire con passione d’amore, riconoscendo con intelligenza, per quanto è possibile, i «segni dei tempi». Oggi più che mai siamo chiamati ad assumere con senso grave questo tempo penultimo della storia. È dentro questa visione che anche il tempo dell’età anziana può e deve recuperare, direi quasi con orgoglio, un nuovo valore, rigettando un senso spreco, di superfluità dei giorni che passano. La vecchiaia non può trascorrere solo come una stagione «vacante», occupata unicamente dalla prospettiva triste del venir meno, o in attesa di un improbabile aldilà; ma come di una stagione piena, nuova, colma della pregnanza di ogni cosa. Anche delusa, talvolta sofferente, o disperata. Ma non vuota.

Avviene allora come se la vecchiaia potesse risuonare dello spirito di questa nostra epoca, frantumata e feroce nell’accadere, ma larga e in espansione nelle esplorazioni del conoscere. Vivere in un’epoca come la nostra, a miti infranti e a illusioni cadute, può trasformare gli ultimi anni di vita in qualcosa di nuovo. Qualcosa di arrischiato, anche, ma in cui il «rischio» non è dato da una sfida con la morte, ma dalla capacità o meno di rendere il tempo penultimo esperienza vitale e non passiva; aperta e non asserragliata nella malinconia; capace di apprezzare ogni momento come un sapore nuovo. Allora si potrà provare a cogliere il dinamismo che serpeggia dentro i lunghi giorni dei vecchi. Non più però caratterizzato dall’efficienza della vita lavorativa, ma da una nuova e diversa percezione delle cose, da un diverso ritmo del respiro, da un diverso pensiero intorno a quel «qualcosa di vivo» che li accompagnerà verso la morte. Troppo spesso i vecchi avvertono l’inutilità del loro vivere perché non partecipano più all’attività produttiva cui si sono dedicati per tutta l’età matura. Tutta la frenesia del sociale intorno a loro concorre a convincerli di questo. Ma possono imparare a essere così forti da invertire la rotta, cominciando a dar valore alle ore in una dimensione diversa del tempo.

Gabriella Caramore, L’età grande, Garzanti

 

Commento

Vecchiaia: Un tempo che chiede di essere trascorso con consapevolezza, con passione d’amore.

Leggendo queste pagine, ho ripensato la mia storia e viene spontaneo chiedermi: “Come ho potuto nell’arco della mia vita praticare due mestieri a tempo pieno, quello di insegnante e quello di psicoterapeuta? Il primo per 28 anni, il secondo da 34 anni e ancora attivo, ed entrambi per passione.

A dir la verità il primo iniziato subito dopo la laurea a 25 anni, perché bisognoso di rendermi autonomo dalla mia famiglia, ma poi perché mi appassiono all’insegnamento, capendo che insegnare non è solo sapere, ma anche arte. Passione che mi ha accompagnato quasi fino alla fine, e scomparsa, quando all’inizio degli anni novanta la scuola si struttura come una azienda, gli insegnanti come dipendenti, gli alunni, per quel che mi dicono ora, come soggetti passivi, tanto che non avrei potuto fare ed essere con i miei alunni quello che ho fatto allora.

Allora, ho rispolverato la mia seconda laurea, ed ho cominciato il mio secondo lavoro di psicoterapeuta, con la stessa passione che avevo nell’insegnare, più per passione che per necessità, essendo già pensionato. Scopro, peraltro, che le due professioni avevano tratti comuni, quali l’accompagnamento nel percorso di apprendimento come in quello di riconoscimento di sé nel percorso psicoterapeutico. Riconosco che quello che mi mantiene vivo, quello che mi fa sentire attivo nonostante i miei 82 anni, è la passione ancora attiva ad essere di aiuto per chi bussa alla mia porta. Lavoro che richiede capacità di ricerca, di scoperta di segnali utili a formulare ipotesi e ricostruire storie sconosciute.

Per curiosità ho sfogliato l’Albo degli Psicologi -psicoterapeutici della Provincia di Trento scoprendo che siamo soli in cinque, su circa 1200 iscritti, ancora attivi nella professione che hanno più di 80 anni. Dato che mi consola della mia giusta scelta e del mio amore per questo lavoro che mi tiene in vita.