Così parla il tuo passato Massimo Recalcati

Così parla il tuo passato

Massimo Recalcati

Maurizio Balsamo, psicoanalista freudiano, nel suo avvincente Ascoltare il presente prende di petto questa domanda che rimbalza in un’altra, altrettanto decisiva: cosa significa per uno psicoanalista lavorare sul passato dei pazienti?

La prospettiva che Balsamo indica vuole evitare due derive. La prima è la prospettiva archeologica che consiste nel concepire il soggetto come l’esito determinato di scene, ricordi, coazioni la cui origine è nell’infanzia.

Balsamo sottolinea giustamente che il passato non è un peso inerte e che in ogni processo di soggettivazione è in gioco una ripresa singolare di ciò che è stato, una sua ri-significazione retroattiva. Il compito dello psicoanalista non è quello di ritrovare il tempo del passato, ma di consentire la sua trasformazione in storia.

Questo significa valorizzare la plasticità della vita psichica, la sua attività di trascrizione simbolica di ciò che è accaduto.

[…] Ne consegue che in psicoanalisi il tempo non scorre dal passato verso il presente, ma si definisce attraverso un movimento di retroazione, grazie al “dopo” e non al “prima”, via futuro e non via passato. È il mio singolare modo di leggere ciò che è stato, di ascoltare quello che viene dal passato che mi permette di significarlo come tempo storico aperto sull’avvenire e non come il contenitore di ricordi inerti. Il passato non è affatto una “pura antecedenza”, né può essere una totale invenzione.

[…]

Il lavoro della psicoanalisi è un lavoro di “digestione” emotiva e di “trascrizione” narrativa che accade nello spazio della seduta. Mentre la versione archeologica dimentica la temporalità, quella narratologica dimentica l’incidenza traumatica del passato, la centralità clinica dell’anamnesi e delle sue tortuosità, cancellando ciò che non può essere ridotto alla funzione semiotica del racconto.

Balsamo mostra che l’eccesso di memoria e l’eccesso di negazione della memoria sono due facce della stessa medaglia. La prima riporta la vita al suo passato infantile; la seconda taglia fuori il passato valorizzando la narrazione di ciò che accade nel tempo presente della seduta. Si tratta di pensare invece “permanenza” e “cambiamento” in una tensione continua. In questo senso, scrive Balsamo, una «cura analitica deve allentare i vincoli con l’origine per permettere nuovi inizi, creare nuove origini, diverse e imprevedibili traiettorie». Non c’è storia se non c’è traduzione, se non c’è azione di una «memoria trasformatrice». Le tracce che si sono scritte nel soggetto possono essere deformate, ritrascritte, risignificate retroattivamente, ma non possono essere cancellate. Ma è chiaro che non tutto può essere tradotto.

La Repubblica, 14 aprile 2019

Commento

Direi che il passato, che tutti noi abbiamo, ci appartiene, nel bene e nel male, che lo ricordiamo oppure no. Non è semplice passato insignificante perchè passato, ma proprio perché è un passato vitale contiene parte di quel che siamo, anche se non lo pensiamo, o addirittura dimenticato, specialmente quando il passato contiene una ferita subita. Il passato contiene un cumulo di storie, apparentemente dimenticate, sconosciute, storie che comunque raccontano vicende, esperienze, fatti, relazioni, significati vivi e attivi nel nostro essere presenti. Per capire chi siamo oggi, così come siamo, bisogna a volte tornare indietro nella storia passata. Là sono le radici del nostro essere presenti oggi. Prima o poi i conti con il nostro passato li dobbiamo fare se nel presente stiamo male.

Il passato non è un peso inerte e che in ogni processo di soggettivazione è in gioco una ripresa singolare di ciò che è stato”. Non è solo memoria più o meno dimenticata, ma che rivisitata può aiutare a capire meglio il presente.

Queste sono anche le ragioni della nascita della psicoterapia familiare:

“I nostri genitori sono le prime, fondamentali relazioni da cui dipendono la nostra esistenza e la nostra sopravvivenza. I nostri desideri più profondi, e molti dei nostri problemi nelle relazioni intime, sono radicati nei nostri legami e nelle lealtà nascoste verso queste persone che per prime ci hanno amato ed hanno dato forma alla nostra vita. E’ necessario permettere che venga il perdono di antichi dolori e pene, e conoscere ed essere conosciuti da queste persone che, in qualche modo, saranno sempre vive dentro di noi.[1]

Ognuno di noi ha una storia ed è inserito nella storia degli altri familiari, il più delle volte sconosciuta e qualche volta addirittura censurata dall’inconscio, producendo amnesie anche patologiche e durature come sistema difensivo da ferite molto gravi. I problemi che le persone hanno con se stesse o nelle proprie relazioni intime hanno a che fare con quanto ancora devono elaborare o risolvere con la famiglia d’origine. Non solo, ma i conflitti intrapsichici derivati dalla famiglia di origine vengono ripetuti, difesi, vissuti all’interno delle relazioni con il partner, i figli o altre persone con cui il soggetto è in stretta intimità. Essi, infatti, sono sentiti in parte come sostituti di immagini del mondo oggettuale interno, con cui ci si rapporta come fossero rappresentanti maldistinti di figure del passato. Ritorno al passato che non sempre è accettato dal paziente, la rivisitazione del passato fa quasi paura, paura dell’ignoto, paura inconscia, perciò rifiuto.

A che serve allora questa ricostruzione meticolosa delle storie familiari se non per conoscersi e capire le origini delle nostre mancanze. Non solo, ma soprattutto, una volta riconciliati, per avere la possibilità di proiettarsi in avanti, per scrivere storie diverse, facendo tesoro di quello che abbiamo vissuto, per vivere relazioni nuove e sane.

 

[1] James Framo, Terapia intergenerazionale  – Milano – Cortina 1996