I molteplici interlocutori in seduta psicoterapeutica
Giuseppe Basile
Per quanto possa sembrare paradossale, in una seduta psicoterapeutica ci sono situazioni in cui non sono presenti solo terapeuta e paziente che dialogano, ma sono presenti altri interlocutori invisibili. O situazioni in cui “l’analista forse è l’unico interlocutore”, che cioè ascolta e parla a se stesso. Ma addirittura potrebbe verificarsi il caso in cui l’unico interlocutore sia il paziente. C’è stato un paziente che aveva iniziato un percorso terapeutico con un altro psicoterapeuta e che a mia domanda perché non avesse continuato, mi rispose che era stufo di pagare per fare monologhi con uno che stava sempre zitto e con il sospetto che si fosse addormentato.
Ma a parte le eccezioni la terapia è un dialogo fra un tu e un io, persone reali che hanno, come ognuno di noi, una identità composita, fatta per così dire per sedimentazioni di parti confuse, sovrapposte, contrastanti, dimenticate, sconosciute, inconsce, di relazioni precedenti. Parti sensibili che si attivano a volte senza controllo, senza volerlo, a seconda delle circostanze nella comunicazione con l’altro con cui siamo in relazione.
Cioè sia il terapeuta sia il paziente specialmente in psicoterapia sono sempre accompagnati da altri propri interlocutori invisibili che sono nostri compagni di viaggio con cui interloquiamo istintivamente o per somiglianza o per opposizione. Quante volte ci è capitato di fare, dire cose che agli occhi degli altri che ci conoscono appaiono incomprensibili, improprie. Sembra che il nostro interlocutore non sia più quello conosciuto, quello con cui si è stabilito e costruito un patto di alleanza terapeutica, ma un altro, sfuggente o molto presente, con una ambivalenza di sentimenti. E viceversa. Di volta in volta nelle sedute scopriamo sia paziente che terapeuta che vediamo e siamo visti in modi diversi e che questa diversità sostanziale ci rende inconoscibili. E’ come se l’altro vedesse nel mio specchio una figura diversa da me e altrettanto di conseguenza per reazione vedessi nel suo specchio una persona sconosciuta.
Può sembrare una ovvietà, ma non è così, perché il nostro reciproco bisogno è capire e conoscere l’altro, definire il chi è dell’altro collocandolo entro schemi conoscitivi fissi, per cui lo scarto è ridotto ad errore o comunque non significativo, o peggio, segno di una qualche patologia. Dimenticando con ciò che ognuno di noi è comunque unico pur con le sue molteplici sfaccettature e che siamo sempre in divenire senza cancellare il passato o l’inconscio che è in noi. Che è sempre presente, che si attiva e riattiva immagini, esperienze, relazioni che inconsciamente riviviamo e che sono state nel bene e nel male significative per noi.
Tanto più è significativo questo fenomeno in seduta psicoterapeutica in cui paziente e terapeuta tentano di definirsi su: chi sei tu? e chi parla a chi? E chi sono i fantasmi invisibili, interlocutori sconosciuti presenti che parlano per noi e interagiscono senza essere facilmente riconoscibili?
Scoperta che ho fatto quando un paziente , dopo mesi di terapia, inaspettatamente mi chiede:
“Ho una curiosità. Ma cosa c’è che la “disturba” nella storia della sua famiglia, che la porta ad investigare le dinamiche familiari?
Curiosità per un disturbo inesistente, ho cercato di spiegare, specialmente se riferito a mio padre, mio modello di riferimento dopo la sua morte. Ma non per questo soddisfatto, se non apparentemente, il paziente torna alla carica diverse volte a distanza di mesi.
Cresce in me allora la mia curiosità per questa sua insistenza, specialmente se alla mia richiesta di fornirmi i segni conoscitivi di questa sua scoperta, restava il silenzio. Ho cominciato a capire che eravamo di fronte ad un fenomeno sconosciuto per cui lui vedeva in me e lui era per me un altro sconosciuto, ma presente. Come fossero presenti ma invisibili e silenziosi due altri interlocutori sconosciuti. E non è detto che gli interlocutori sconosciuti restino sempre sconosciuti.
Da qui il mio interesse conoscitivo della presenza in terapia dell’enactment[1], fenomeno tutto da esplorare sul piano scientifico e psicoterapeutico.
E ringrazio il mio paziente per questa opportunità che mi dà.
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[1] E’ il fenomeno dell’enactment cioè del fenomeno di recente riconosciuto nella relazione terapeutica quando ci si accorge che si attivano messaggi e comportamenti interattivi inconsapevoli e inconsci tra terapeuta e paziente.
“‘Interazioni simboliche’ con un significato inconscio per entrambi i partecipanti, potenzialmente estensibile anche al di là della situazione analitica”.
“L’induzione inconscia esercitata sull’analista da parte dell’analizzando a mettere in atto le fantasie inconsce dell’analizzando. Quest’idea è simile alla ‘identificazione proiettiva’ e/o alla ‘responsività di ruolo’ “(Dizionario Enciclopedico di Psicoanalisi dell’IPA)