Il genitore di un ragazzo con la porta chiusa – – Giuseppe Basile

Il genitore di un ragazzo con la porta chiusa

Massimo Recalcati

«Sempre rispettare il segreto dei figli, anche quando questo segreto ci appare sconcertante. Perché ogni figlio ha un segreto e credo che una componente essenziale dell’amore genitoriale sia amare il segreto del figlio. Nessun figlio è trasparente, noi non possiamo leggere l’anima di un figlio. Non solo non possiamo, ma non dovremmo.

Se la porta chiusa evoca il rispetto del segreto, allora bisogna che noi rispettiamo quella scelta e aspettiamo che si riapra, perché si riaprirà. Se la porta chiusa invece riflette l’esperienza di un disagio, di una sofferenza profonda, bisogna dare tempo al figlio perché chieda aiuto.

Al tempo stesso bisogna avere il coraggio di interrogare i nostri comportamenti in rapporto a quella porta chiusa. Più che forzare la porta, si deve dare tempo al figlio per riaprirla e soprattutto interrogare quale è la nostra responsabilità come genitori, nei confronti di quella porta chiusa.

Il mestiere del genitore come diceva Freud è un mestiere impossibile, nel senso che tutti i genitori sbagliano. Questa è la cattiva notizia che Freud ci dà. Però ce ne fornisce anche una buona: ci dice che i migliori tra i genitori sono quelli che sanno di sbagliare».

Corriere della sera 18/06/2023, intervista di Walter Veltroni

Commento

Ho avuto in terapia un adolescente, Marco, con il problema della porta chiusa, quella della sua camera. Nessuno dei familiari aveva accesso alla sua camera, non perché fosse chiusa a chiave, ma perché lui sentendo i passi di qualcuno che arrivava, prontamente si faceva trovare davanti alla porta per ascoltare la richiesta di chi stava sulla porta. Vive rintanato nella sua camera, ciò nonostante, è critico e giudice della vita degli altri.

Il padre è in ansia per il suo sviluppo e per il suo futuro, perché nello specchio del figlio vede riflessa l’immagine rotta di suo fratello e la storia fallimentare degli altri suoi fratelli. A nulla valevano i suoi rimproveri, le raccomandazioni a far meglio in casa e a scuola. Il figlio da parte sua evita rapporti ravvicinati con il padre, ubbidisce senza lamentarsi e appena può si rifugia nella sua camera da cui raramente esce, se non per le necessità scolastiche e familiari.

Ho cominciato la terapia con l’ovvia e doverosa ricostruzione della storia familiare del padre, del perché lui fosse così angosciato dai fantasmi della sua famiglia, dal pensiero che il figlio potesse subire l’influenza deleteria e malefica di suo fratello.

Nella mia esperienza di terapeuta nessuna altra storia ho sentito raccontare in seduta con tanta drammaticità e sofferenza con il coinvolgimento emotivo degli altri familiari e mio personale. Quello del padre era un dolore per molto tempo congelato, che si scioglieva di nuovo nel racconto emotivo. La cosa significativa era che questa storia, anche se forse nei suoi elementi biografici parziali, fosse non nuova alla moglie e ai figli, veniva ricostruita sulla dimensione emotiva del dolore e della sofferenza provati e vissuti nell’infanzia in una famiglia disgregata. Marco ascoltava in silenzio e con molta emozione e commozione vedere piangere suo padre si è sentito coinvolto.

E’ stata quella seduta che ha significato un cambiamento radicale di Marco sia nel suo curriculum scolastico sia nel suo essere cresciuto come nuovo uomo artistico, come poi è divenuto.

Ma fondamentale è stato anche il cambiamento del padre. Adesso nel padre c’era quel di più di amorevole che lui ci mette nella relazione con il figlio e che la fa cambiare nello stesso tempo, e non solo la relazione diadica, ma di tutta la famiglia.

Il padre motiva questo suo comportamento più amorevole con il fatto che adesso si sente in colpa verso il figlio, perché si è reso conto di averlo influenzato e di avergli trasmesso i suoi comportamenti. Nel figlio vede se stesso.

E da allora non ci sono state porte chiuse.