La Storia sul lettino di Lacan
Massimo Recalcati
Secondo Lacan storia e psicoanalisi individuano nello studio del passato il loro comune oggetto specifico di interesse. Ma, diversamente dall’archeologia freudiana, sia nella storia sia nella psicoanalisi il ritrovamento del passato non implica un movimento regressivo di ritorno a ciò che si è già scritto, quanto una ricostruzione inedita, una traduzione singolare che supplisce all’impossibilità di recupero dell’originario, insomma una trascrizione retroattiva e plurima del passato.
Non è questo, del resto, un pensiero estraneo allo stesso Freud. Si pensi, a titolo esemplificativo, alla distinzione tra “verità storica” e “verità dei fatti” teorizzata nel suo Mosè e il monoteismo. In questo senso, ribadisce Lacan, la storia non si fonda sui suoi resti inossidabili (ricordi, traumi, ripetizioni), ma sul potere generativo della parola. È una sua tesi di fondo: non c’è storia senza parola, poiché è la parola a essere il “fondamento” della storia del soggetto. Senza parola, infatti, non c’è storia, ma Natura, evoluzione biologica e istintuale della vita.
L’esperienza della storia passa necessariamente attraverso l’esperienza simbolica della parola. È solo il lavoro della parola che può ordinare il tempo in una trama storica stabilendo nessi, interpunzioni, relazioni causali, diramazioni, genealogie. In questo senso il lavoro dello storico è — come quello psicoanalitico — un lavoro analizzante.
La Repubblica, 24 ottobre 2023
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Commento
Mi ritrovo e mi conforta quanto afferma Massimo Recalcati che “il ritrovamento del passato non implica un movimento regressivo di ritorno a ciò che si è già scritto, quanto una ricostruzione inedita”.
Da trent’anni pratico la psicoterapia, ho visto famiglie, coppie, singoli sempre con l’ottica della mia formazione in terapia familiare, centrata fondamentalmente sull’analisi della conoscenza e della ricostruzione della storia familiare.
Comunemente si ha la convinzione che la storia familiare sia solo una sequenza di fatti ed eventi cronologici accaduti e vissuti in famiglia, di cui in parte c’è ricordo, di altri c’è oblio, e di cui altri familiari (genitori, fratelli) hanno anche conoscenza.
C’è stato chi mi ha chiesto il senso di questo indagare sul passato, quando il problema, il malessere, il sintomo è nel presente. Si fa fatica ad accettare e far capire che il passato è una presenza sconosciuta che agisce. E ancor più accettare l’idea che ogni componente familiare ha la “sua” storia, intesa come intreccio di relazioni interpersonali, di vicende vissute e dimenticate, di “differenze” vere o immaginate che separano, distinguono, confliggono l’uno contro l’altro. Così la famiglia psicologica è un intreccio di relazioni dinamiche con storia in cui ogni familiare vive e agisce secondo le sue percezioni, i suoi bisogni, le sue aspirazioni.
Ma quanto c’è di depositato in noi che è dimenticato, connesso al dolore presente ma che a fatica potrebbe essere visibile? Allora capire il sintomo, come visibilmente e incomprensibilmente è comparso, non significa solo avere conoscenza di una parte di sé sconosciuta, inedita, ma soprattutto ad un poter essere padrone di se stesso, e poter scrivere e vivere una nuova vita inedita. Il passato conosciuto e immobilizzato freddamente in una sequenza di fatti ed episodi non dice niente di nuovo più di quanto accaduto. Conoscere invece l’accadimento e connetterlo alla storia relazionale degli attori responsabili e al contesto sociale e familiare in cui è avvenuto, permette di scrivere un’altra storia inedita. E se è possibile andando indietro alla storia dei nonni e dei bisnonni.
Ma prima di scriverla, memori del metodo maieutico di Socrate, bisogna generarla con il potere della parola, con il potere del dialogo, non tanto con la parola scritta, ma con il dialogo che interroga, che scava, che risponde, che genera una nuova storia da vivere.
“È solo il lavoro della parola che può ordinare il tempo in una trama storica stabilendo nessi, interpunzioni, relazioni causali, diramazioni, genealogie”